Il ct Jacquet sì arruola nel pc francese di Enrico Benedetto

Il ct Jacquet sì arruola nel pc francese «La mia squadra è la risposta a Le Pen. Sono contro il denaro facile e i privilegi» Tre pagine sul giornale comunista: «Sono un ribelle» PERSONAGGIO CALCIO E POLITICA APARIGI IME' Jacquet il Rosso. Ovvero, dal Mondiale a Marx. In una lunga intervista su «l'Huinanité» - l'immortale quotidiano pcf, che esibisce tuttora falce & martello in prima pagina - il trainer dei Bleus annuncia che il dopo Brasile lo passerà studiando la Resistenza e il Fronte popolare, trascurati sinora per Zidane & C. «Sono un ribelle» spiega. E proprio la rivolta collettiva, aggiunge, lo affascina nel Front Populaire. Che fu cartello delle sinistre ma ancor più un battesimo per la nuova francia antiborghese, irriducibile contro i fascismi, egualitaristica. Stagione breve, eppur intensa. Si commuove, Jacquet, dinanzi alla «gente che dice "stop" e si organizza» per combattere le élites e gli inciuci abituali nella DJ Repubblica. Poi venne il giugno '40. E lo sbarco in Normandia. L'esultanza di massa per la Coppa, il 12 luglio scorso, non ricorda la Liberazione? gli si chiede. E lui (classe '41): «Ho imparato la psicologia umana proprio meditando su quegli anni». Se Deschamps, Petit, Djorkaeff e gli altri magnifici 8 non hanno più misteri per Jacquet, il tifoso ringrazi insomma i maquisards. Mezzo secolo dopo, peraltro, la battaglia è ancora d'at¬ tualità. E in trincea, anziché de Gaulle, troviamo un certo Jacquet Aimé. «Mi piacerebbe che il mio exploit contribuisse a liquidare gli Anni 80, fasulli e vuotissimi». Ossia l'era Tapie, coetanea di quella Craxi. L'allenatore - dimissionarie perché nello sport «bisogna saper andarsene» - fustiga i soldi facili, la razza padrona, l'arrivismo, i privilegi. La sua umiltà (ipse dixit) offrirebbe un formidabile controesempio. E non è finita. Su «Le Monde» Jacquet rivendica «con fierezza» il sostegno che la sua squadra «multietnica» fornisce alla pugnu contro Le Pen. W il Fronte popolare, abbasso quello nazionale. Dedica il trionfo, infine, «a chi lavora nei piccoli club, lontano dai profittatori che il football ingozza di soldi». Riassumendo, il Maldini francese ha un debole per l'utopia del '36 e la mitologia re- sistenziale. Difende contro il rampantismo («pescicani dai denti a sciabola») la Francia profonda, tenace e operosa. «Vengo dalla campagna» sottolinea. Per sentenziare infine: «Il microcosmo parigino è infetto». Con le sue sue esternazioni - un vero esordio in politica, caso unico tra i vincitori di Mondiali - Aimé Jacquet sposa in definitiva la linea pcf. Ne condivide l'onnipresente richiamo storico, la polemica moralizzatrice «dal basso», e la dicotomia tra due France (il lavoro, i privilegi) incompatibili. Con la prima campione del mondo. Grazie a lui. Curiosa World Cup. Le Pen che inneggia a Zidane «figlio dell'Algeria francese». Jacques Chirac con la maglia n. 23 sorpreso negli spogliatoi mentre bacia sul cranio da skin-head il portiere Barthez, Idonei Jospin e i Blu in cui ve- de... l'estrinsecazione pai lo nara del suo governo arcobaleno, la folla in tripudio come se gb: Champs-Elysées fossero Copacabana. E adesso il «piccolo padre» Aimé Jacquet. Che abbandona la panchina per il comizio. Continua a stupirci, «France '98». Ma forse ha ragione Jacquet: «Il football è la fotografia totale della vita». L'identificazione tra Nazionale e Paese lo galvanizza. «Sono felice, felicissimo». Ma la gioia non eclissa il rancore. Nel mirino «L'Equipe», cui riconosce «il monopolio» - è il solo giornale sportivo d'Oltralpe - «dell'imbecillità» per reportage ostili al suo carisma. «Non li perdonerò mai!». E annuncia un Tour de France per smascherarne la malafede. Anche Jacquet, come de Gaulle, ha la sua Vichy. Enrico Benedetto Aimé Jacquet, tecnico della Francia Il ct Jacquet sì arruola nel pc francese

Luoghi citati: Algeria, Brasile, Francia