Strage di camorra, il dubbio di un errore di Foto Controluce

Strage di camorra, il dubbio di un errore Scene da Far West davanti a un pastifìcio di Pomigliano d'Arco: ferita anche la cameriera di un bar Strage di camorra, il dubbio di un errore Uccisi tre operai incensurati NAPOLI. Un caffè prima di tomare a casa, al solito bar, a pochi passi dal pastificio. I tre operai lasciano l'auto davanti al gazebo del locale, si fermano qualche minuto, il tempo di consumare il rito quotidiano della tazzina. Un saluto alla cassiera e sono di nuovo fuori. Ma nella strada semideserta spunta la macchina dei sicari, affianca quella su cui stanno per salire i tre giovani, parte la raffica. E i killer sparano almeno 40 colpi con un Kalashnikov, un fucile a canne mozze e una pistola: una pioggia di proiettili che non lascia scampo. Pomeriggio di fuoco a Pomigliano d'Arco, nel Napoletano, davanti al pastificio Russo, uno dei più antichi e noti marchi del settore. Tre dipendenti dello stabilimento, assunti in febbraio con un contratto di formazione professionale, sono stati assassinati all'uscita dalla fabbrica. Nella sparatoria è rimasta ferita anche la cassiera del bar, colpita ad un polpaccio da un proiettile. La dinamica dell'agguato, la determinazione con cui ha agito il commando dei killer, lasciano pensare ad una brutale azione della camorra, ad una spedizione punitiva per uno sgarro. Ma nel passato delle tre giovani vittime, tutte incensurate, non c'è nulla che al momento possa spiegare la strage. E allora gli mquirenti non scartano nessuna pista, neppure quella di un errore costato la vita a tre innocenti. Via nazionale delle Puglie, uno stradone alla periferia del paese. Rosario Flaminio, 24 anni, Salvatore Di Falco, di 21, e Alberto Vallifuoco, di 24, escono dallo stabilimento dove lavorano 4 ore al giorno per 800 mila lire al mese. Abitano in centri diversi, si sono conosciuti in fabbrica dove sono stati assunti a febbraio, e per i compagni sono «tre bravi ragazzi, tre ragazzi normali». Salgono insieme sulla Y10 di Salvatore e raggiungono il Bar Manila, una cinquantina di metri più avanti, tappa obbliga toria nelle pause di lavoro oppure al rientro a casa. Alla cassa c'è Mo nica Nacca, 19 anni. Lei è stata assunta un anno fa e quei tre li conosce: una battuta, il caffè, poi sono di nuovo in strada. Il rombo di un motore, la Lancia Dedra si materializza all'improvviso, affianca la macchina degli operai e dai finestrini spuntano le armi. «Non smettevano più di sparare», racconta l'mquilino di un palazzo vicino. Almeno 40 colpi, tutti contro quei tre giovani: uno riesce a balzare in macchina, ma non a sfuggire ai proiettili, un altro crolla sull'asfalto accanto alla Y10, Salvatore cerca scampo nel gazebo del bar, ma i sicari non lo risparmiano. C'è anche suo padre, pure lui operaio al pastificio Russo, tra i lavoratori che al rumore degli spari si precipitano nella via, mentre i killer si dileguano (la Dedra sarà poi trovata bruciata poco distante). Vicino alla pensione, aveva sperato di lasciare il posto al figlio che adesso giace senza vita sulla soglia del bar. La disperazione dei familiari, lo stupore dei colleghi, non spiegano un agguato che ha tutte le caratteristiche di una spietata azione di camorra. Ad agire sono stati professionisti, su questo per gli investigatori non ci sono dubbi, e tutto apparentemente lascia pensare che gente così determinata non sbagli obiettivo. Un regolamento di conti, la punizione per uno sgarro, una vendetta maturata nel mondo del traffico di droga? La risposta sarebbe facile se le tre vittime non fossero incensurate, se nelle loro esistenze non ci fosse apparentemente nulla in grado di spiegare un'esecuzione così feroce. Gli inquirenti stanno passando al setaccio le loro vite, il passato, le abitudini, le frequentazioni, le parentele, nella speranza di trovare un appiglio, un indizio. E non escludono che Salvatore, Rosario e Alberto possano essere rimasti vittime di un errore, che qualcun altro fosse il vero obiettivo dei sicari, magari una persona presente al momento della sparatoria che è riuscita a mettersi in salvo. Di sicuro il sindaco di Pomigliano d'Arco, Michele Caiazzo, chiede allo Stato di «non abbassare la guardia e di sconfiggere la riorganizzazione dei clan camorristici nell'area napoletana». Mariella Cirillo Una delle vittime è stata freddata davanti al padre che lavorava come lui nell'azienda Il commando di killer è entrato in azione alla fine del turno di lavoro: 40 colpi sparati in successione Nonostante il gruppo di fuoco abbia agito con determinazione forse il vero obiettivo è fuggito UN 1998 DI SANGUE BARE 5 GENNAIO Due sconosciuti litigano nei pressi di un bar e uno spara contro l'altro alcuni colpi di pistola senza colpirlo, ferendo due passanti, Filippo Tenerelli e Antonio Minunno. VILLA LITERNO 5 APRILE Una ragazza di 12 anni finisce nella traiettoria dei proiettili destinati a una guardia giurata e rimane ferita gravemente. i CATANIA 7 APRILE Un commando mafioso spara contro due rivali, uccide Angelo Castorina e ferisce Orazio Signorelli. Viene colpito Domenico Querulo, di cinque anni: ferito agli occhi, resta cieco. ■ BARI 24 GIUGNO In una sparatoria che si inquadra nella «guerra» tra i clan cittadini rimangono ferite tre donne, una in maniera grave. dubbo d un.tr.mrry Uno dei tre operai uccisi nell'agguato di camorra di ieri pomeriggio, davanti al pastifìcio Russo di Pomigliano d'Arco. A destra: la disperazione dei parenti delle vittime [FOTO CONTROLUCE]

Luoghi citati: Bar Manila, Catania, Napoli, Villa Literno