Il Medioevo è lontano la povertà c'è ancora di Alfredo Recanatesi

Il Medioevo è lontano la povertà c'è ancora OLTRE LA LIRA Il Medioevo è lontano la povertà c'è ancora dati sulla povertà in Italia sono stati commentati in molti modi e da diversi punti di vista. H commento più singolare, tuttavia, sembra quello - riferito dai giornali - del vicepresidente del Consiglio Veltroni e del Direttore generale della Confindustria Cipolletta. Entrambi hanno contestato che la povertà stia aumentando, così come è risultato dalla relazione presentata dalla Commissione d'indagine sulla povertà istituita presso la Presidenza del Consiglio. Il fatto è - hanno sostenuto - che è aumentato il valore medio dei consumi rispetto al quale la povertà viene calcolata (statisticamente, viene considerato povero chi abbia un reddito inferiore alla metà del reddito medio), per cui sono risultate povere famiglie per le quali in realtà il tenore di vita non si è ridotto. Il commento è singolare perché attribuisce alla povertà un valore assoluto, non relativo. E' un punto di vista che, di conseguenza, considera povero solo chi non sia nella condizione di attingere un livello di mera sussistenza, come nel '500 quando, appunto, erano considerati poveri coloro che «non sanno come guadagnare il pane per sé e per i propri figli» (Burel de Puy). Secondo i punti di vista come quelli di Veltroni o di Cipolletta, dunque, chiunque riesca a sfamare se e la propria famiglia non sarebbe povero, per il semplice motivo che da allora ogni ulteriore bisogno è stato determinato dal progresso, dall'aumento del reddito, dalla conseguente evoluzione dell'organizzazione sociale e degli stili di vita. Tesi, ad evidenza, non sostenibile, non essendovi margine di discussione sul fatto che la povertà è un concetto relativo non solo sotto il profilo eticosociologico (la dignità dell'uomo, il suo diritto ad essere partecipe delle conquiste e delle realizzazioni della collettività alla quale appartiene), ma anche sotto quello meramente economico, ossia come livello di reddito prò capite che segna la frontiera tra la povertà e la non povertà. Se, dunque, superiamo la cui tura che nel tardo Medio Evo e nell'Età Moderna tendeva confinare la povertà in modo che non si vedesse, o magari a demonizzarla affinché non potesse costituire un problema so ciale, ma la consideriamo come una questione da risolvere, al lora vanno distinti aspetti generali da aspetti più particolri, Quelli generali attengono alla logica stessa dell'ordinamento economico capitalistico il quale, basandosi sulla selezione sulla competizione, sul conti nuo rinnovamento dell'attività produttiva verso livelli sempre più efficienti, determina le dise guaglianze che ne costituiscono (almeno in teoria) il motore L'entità di queste diseguaglian ze normalmente accettata varia sensibilmente secondo la storia, la cultura, la religione delle diverse aree economiche (in Europa è minore che in Asia o ne gli Stati Uniti), ma comunque è tanto consistente da determinare ovunque più o meno ampie e più o meno problematiche sacche di povertà. Non è un caso che proprio nelle fasi più innovative e dinamiche (come quella delle integrazioni e delle globalizzazioni di questi anni) le diseguaglianze si accentuino e la povertà cresca: è il prezzo della razionalizzazione nell'impiego dei fattori della produzione che, per altro verso, consente un progresso continuo. Ma ci sono poi anche fatti specifici, nazionali, molto più difficili, dunque, da accettare. Il più rilevante tra questi è certamente la concentrazione di ricchezza che è stata determinata, a beneficio dei possessori di attività finanziarie, da anni ed anni di tassi di interesse reali notevolmente superiori al tasso medio di crescita del reddito nazionale. Questo fenomeno che costituisce la più grave responsabilità storica dei governi degli Anni 80 - prima ha ampliato le diseguaglianze, ma poi ha generato nuove povertà quando, negli Anni 90, si è cominciato ad affrontarlo. Il riassetto della finanza pubblica e la razionalizzazione del sistema produttivo hanno pesato sull'occupazione e, per via fiscale, su chi non ha redditi finanziari che possano aver compensato il forte aggravio impositivo. Poi è arrivata la svalutazione del '92'93, la quale ha sospinto il reddito di mezza Italia a spese dell'altra metà nella quale, ovviamente, la povertà si è estesa. La conclusione è che, seppure nei terniini relativi che abbiamo ricordato, la povertà nell'Italia che si affaccia al terzo millennio come quinta potenza econonmica del mondo tocca oltre il 10% delle famiglie - la percentuale che gli storici dell'economia (Malanima, ad esempio) calcolano nientemeno che per il tardo Medio Evo - per cause che in parte sono fisiologiche e forse inevitabili, ma in parte sono patologiche, specifiche, frutto di politiche passate e di non-politiche attuali. Ciò nondimeno, la classe dirigente tende, come si è detto, a minimizzarla, a contestare i dati che la rilevano, comunque a negargli la priorità reclamata non solo dall'umanitarismo proprio della cultura europea, ma anche, più pragmaticamente, dall'opportunità politica di prevenire tensioni che possono scuotere la società, e dalla convenienza economica di poter contare su una domanda interna più distribuita ed omogenea, oltre che più consistente. Alfredo Recanatesi BSi |

Persone citate: Cipolletta, Malanima, Veltroni

Luoghi citati: Asia, Europa, Italia, Stati Uniti