L'Irlanda del boom: colpiti da improvviso benessere di Paolo Guzzanti

L'Irlanda del boom: colpiti da improvviso benessere L'economia vola al tasso di sviluppo del 8,2%, Dublino ha capitalizzato i vantaggi della pace L'Irlanda del boom: colpiti da improvviso benessere DAL NOSTRO INVIATO Il venerdì santo di Pasqua non è poi così lontano: fu quello il giorno in cui irlandesi e inglesi, governo di Dublino e forze combattenti delle due parti raggiunsero l'accordo del 18 aprile che ha aperto la strada della pace. Ma è come se fossero passati decenni. E' come se già tutto fosse risolto, quasi dimenticato. Il che ovviamente non è vero. Anzi, la coda sarà la più lunga e faticosa da scorticare, ed episodi come quello dei tre fratellini Quinn bruciati nel corso di una tribale pulizia etnicoreligiosa seguiteranno a insanguinare le strade e le pagine dei giornali irlandesi. Ma certamente è stato raggiunto un punto di non ritorno. E la vera ratifica di questo stato di cose sta nella crescita tumultuosa delle relazioni economiche fra le due Irlande, quella del Nord e la repubblica indipendente del Sud, e fra quelle e l'Inghilterra. Già si era visto che l'economia di Belfast, a causa del trascinarsi della guerra, era in ginocchio, mentre quella di Dublino volava alle stelle. Ma adesso qui da Dublino, con la memoria di Belfast ancora negli occhi, posso vedere la differenza che salta agli occhi e che va letta negli esseri umani. Va letta nell'umore della gente, perché a Sud si ride, si ride continuamente, quasi istericamente, anche la radio trasmette talk show in cui tutti ridono a crepapelle. Mentre a Belfast ancora grava la cappa nebbiosa della depressione. Si vede nel caos stradale: Belfast ha un traffico cupo e depresso, ma rarefatto. Dublino un traffico caotico, imbottigliato, ma attivo. Infine si coglie nei numeri che indicano il volume degli affari e il ritmo di sviluppo. Oggi le strade di Du blino sono piene di inglesi, anzi di londinesi. E poi: l'economia dell'Irlanda del Nord era fino a poco fa in gi- nocchio mentre quella della Repubblica dell'Eire ha avuto l'anno scorso un tasso di sviluppo mostruoso: l'8,2 per cento. L'Irlanda in questo senso somiglia molto al nostro Veneto che, prima della rivoluzione industriale del tessile, del vino, dell'elettronica, era una regione depressa, malata di gozzo, con le donne che andavano a fare le domestiche a Torino, Milano e Roma, una depressione fisica e mentale. Così fino a poco tempo fa anche l'Irlanda. Oggi le cifre parlano chiaro. Il reddito medio di un abitante di questa verde repubblica sfiora i ventimila dollari annui. Quello di un abitante dell'Ulster è di un terzo inferiore: 14.335 dollari. Intanto il numero degli irlandesi che guadagnano più di 29.000 dollari è raddoppiato in cinque anni, gli emigranti dublinesi a Londra non sono più da tempo gli straccioni che vengono dall'Irlanda («I negri verdi», come venivano sprezzantemente chiamati), ma imprenditori con il lap-top nella ventiquattrore. Cadono molti muri invisibili, mentre restano ancora in piedi alcune macerie di quelli visibili. Il deficit commerciale dell'Eire, dopo la riapertura dei traffici commerciali con Londra, è sceso da 590 miliardi di dollari a 130. Il Sud investe al Nord e viceversa, le imprese tessili di Londonderry si spo¬ stano a Dublino e le dublinesi sbarcano a Belfast e tutte e due insieme a Londra e Liverpool. Mentre il mondo si interroga sul dopo guerra fredda e si chiede se e quale senso abbia l'egemonia militare, economica e culturale americana, qui si respire un'aria di do¬ poguerra più casalingo, ma più concreto. Qui la guerra era (e ancora in parte è) calda. I morti sono stati più di duemila, uccisi uno per uno, al plastico o con la pallottola, con la tortura o nel rogo. Oggi il tasso di mortalità da guerra civile è praticamente zero e ancora non si sa se e quando l'Ira si deciderà ad abbandonare fisicamente le armi, sbaraccare gli arsenali. Nel frattempo però la repubblica d'Irlanda ha già imboccato la via del dopoguerra e agisce come se il mattatoio della guerra civile fosse già stato chiuso per sempre e anzi rimosso. Ma una cosa è certa: la pace, sia quella seguita alla guerra fredda che alla guerra irlandese, porta il boom economico con sé. La paura e il dolore hanno prezzi economici incalcolabili. O meglio, possono essere calcolati, e come. Gli studi sui costi economici della paura, della guerra civile, della criminalità comune o politica, del terrorismo, delle guerriglie e anche del semplice degrado urbano che segue la sconnessione della società civile, sono stati perfezionati ormai da anni da uno dei più grandi economisti viventi, l'americano Gary S. Becker dell'University of Chicago, premio Nobel per l'economia nel ] 992, il quale ha affrontato proprio la questione dei costi monetari del disagio esistenziale, della sofferenza fisica, della paura e del disordine, studiando le discriminazioni razziali e quelle religiose, con conseguenti crisi della vita familiare, sessuale, scolastica e quindi produttiva di una società. Il risultato di questi studi è che l'Irlanda è stata depressa a causa della sua condizione coloniale e post coloniale, a causa dell'odio e della guerra civile; ma che alla fine di questo tunnel vola alta e lontana sul cammino di una ripresa eco¬ nomica che è fra le più veloci del mondo e un caso unico fra i Paesi occidentali non perfettamente sviluppati. In pratica è accaduto in Irlanda ciò che non è ancora accaduto in tutti i Paesi ex satelliti dell'ex Unione Sovietica, con l'eccezione boema e ungherese. Forse soltanto fra qualche anno si potrà anche calcolare in termini macroeconomici il valore della pace in una zona devastata dalle guerre e dall'odio smobilitando gh eserciti, vuotando gli arsenali, liberando energie umane. E' un calcolo difficile ma non impossibile. Il governo inglese sta traendo analoghi e visibili vantaggi, smantellando alcune importanti sezioni dei suoi servizi segreti, e altrettanto si appresta a fare l'Irlanda, che però ha investito molto meno in questo genere di apparato. In Irlanda queste giornate sono al loro massimo splendore. Sole a bassa temperatura, turisti in massa, buone prospettive economiche e di qualità della vita, fanno di questa terra una vera e geografica isola felice. Le compagnie straniere affluiscono in massa, il governo di Bertie Ahern è attentissimo ai conti ma contemporaneamente preme politicamente sullo Sinn Fein, il partito politico che nell'Irlanda del Nord rappresenta l'Ira, affinché ottenga una smobilitazione rapida e convincente dei reparti combattenti cattolici. Londra fa altrettanto agendo sui protestanti ma quel che conta è che i due po poh, quello del Sud e quello del Nord, protestanti compresi, credo no disperatamente nel processo di pace e lo sostengono con uno sforzo quotidiano, capillare. Il che non vuol dire che tutto sia rose e fiori. In Inghilterra e nell'Ulster c'è chi teme epurazioni e regolamenti dei conti. I più terrorizzati sono i reparti della polizia speciale del Ruc (Royal Ulster Constabulary) che è protestante al 93 per cento e che si trova più o meno nelle condizioni dei militari fascisti dopo il 25 aprile del '45. Su queste paure Londra fa leva per costringere Dublino ad un impegno visibile e attivo che impedisca e blocchi sul nascere una stagione di vendette tanto sanguinosa ouanto paralizzante. Dublino risponde di sì, anche con convinzione. Ma non ha molti strumenti da usare (già oggi le polizie inglesi e irlandesi collaborano) in più rispetto a prima. La verità è che Dublino ha adottato la linea del lasciar fare, dare tempo al tempo, smussare gli angoli, sedare i facinorosi e intanto arricchire. Paolo Guzzanti A sinistra, il traffico attorno alla sede della Banca d'Irlanda a Dublino. Sotto, il premier irlandese Bertie Ahern insieme con Tony Blair

Persone citate: Bertie Ahern, Gary S. Becker, Quinn, Tony Blair