«Contratti con clausole d'uscita»

«Contratti con clausole d'uscita» SALARI E OCCUPAZIONE Proposta di Giugni alla vigilia della revisione degli accordi di luglio '93 «Contratti con clausole d'uscita» I sindacati: no, portano alle gabbie salariali ROMA. Giovedì prossimo partirà la verifica dell'accordo del bigio '93 e Gino Giugni mette sul tavolo una «clausola d'uscita» da alcuni istituti del contratto nazionale. Giugni, ministro del Lavoro nel '93 e ora alla guida della commissione che negli ultimi mesi ha lavorato per capire come riadattare il protocollo del '93, spiega: «La contrattazione non può non rendersi conto che nel Paese le condizioni non sono uguali dovunque». Quindi spetta alle parti decidere se e come uscire dal contratto nazionale, definendo trattamenti diversi a livello territoriale o aziendale. Insomma una via che consente, sull'esempio tedesco, di derogare per un periodo determinato a quanto stabilito dal contratto nazionale. La proposta di Giugni prevede, comunque, un assetto contrattuale articolato su due livelli: accordi nazionali e contrattazione decentrata: «La durata del contratto nazionale - spiega ancora - potrebbe essere portata dagli attuak' quattro anni, su due bienni, a tre anni, che meglio si armonizzerebbero con i tassi triennali di inflazione programmata». Ma va anche rafforzata la contrattazione aziendale, proprio per recuperare i termini indicati nel luglio '93: aumenti salariali correlati ad indici di produttività, redditività e qualità. «L'aggiornamento dell'accordo conclude Giugni - sarà un po' la prova del fuoco per la conquista di nuovi posti di lavoro». Ma la «clausola d'uscita» non piace ai sindacati, Walter Cerfeda, della Cgil, la bolla come «una scorciatoia per le gabbie salariali»: si finirebbe per certificare in alcune aree, in particolare nel Mezzogiorno, diritti e trattamenti da Serie B. «I minimi contrattuali non possono essere materia di deroghe», ribadisce per la Uil Paolo Pirani: «Il minimo contrattuale - aggiunge - costituisce anche una scelta di coesione sociale. Quindi non può essere messo in discussione. Tantopiù che una deroga scardinerebbe il meccanismo le¬ gato alla politica dei redditi, perché non si può pensare ad una dinamica salariale inferiore all'inflazione programmata». Appena più possibilista Raffaele Morese: «Può essere una strada percorribile, visto che le eventuali deroghe a istituti del contratto nazionale saranno contrattate dalle parti», dice il segretario della Cisl. «L'importante - aggiunge - è che la deroga non sia automatica, cioè che un'azienda in una determinata situazione possa derogare indipendentemente dall'accordo con il sindacato». Comunque, conclude Morese, una clausola di questo tipo va decisa nei contratti nazionali e non nell'ambito di questa verifica. Da parte industriale la proposta di Giugni viene considerata «con¬ divisibile, ma un po' barocca», a dirlo è il direttore generale della Confìndustria, Innocenzo Cipolletta, che, piuttosto, vedrebbe di maggior efficacia ridare alle parti la libertà di negoziare, di decidere un minimo salariale diverso da zona a zona, da azienda ad azienda. Intanto, in attesa della nuova normativa sul lavoro sommerso, prevista per la fine di luglio, è in arrivo un decreto del niinistero del Lavoro che prorogherà, probabilmente di tre mesi, i contratti di gradualità in scadenza che interessano 12-15 mila lavoratori. Senza la proroga verrebbero a cadere i benefici fiscali e contribuiti, quindi ci sarebbe un alto rischio di veder tornare al nero queste aziende. [v. cor.] Gino Giugni Il suo piano per la verifica sull'accordo del luglio '93 non piace a sindacati e Confìndustria

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