« Re e sudditi sul mio vassoio»

« Re e sudditi sul mio vassoio» « Re e sudditi sul mio vassoio» // cameriere: così ho visto tramontare un'epoca NE ha macinati a centinaia, di chilometri, girando come una trottola fra i tavolini, il bancone e la cassa del bar: avanti e indietro in quel piccolo universo che è la piazzetta, un francobollo d'asfalto su cui da decenni sfilano i potenti della terra, divi di Hollywood, magnati, playboy e cacciatori di dote. Lui, Vincenzo Mellino, 63 anni, da quarantasette cameriere al caffè Tiberio, servo di scena nella grande recita delle escati, li ha visti e conosciuti tutti. E' il testimone degli splendori e delle miserie che per mezzo secolo hanno segnato e continuano a segnare la vita di Capri. Ma la sua isola è un'altra: affiora ogni tanto nella memoria con gli odori e i sapori del mare che accarezzava la battigia di Marina Piccola, con il profumo dei saraghi appena pescati che arrostivano sulla brace. E allora gli occhi si perdono in un altro mondo, lontano dal cicaleccio dei turisti seduti al bar, oltre la piazzetta con il continuo viavai di villeggianti. «Ero un ragazzino, papà aveva un piccolo ristorante a Marina Piccola: si chiamava Le Sirene, era proprio sulla spiaggia racconta -. La Canzone del Mare, lo stabilimento della gente che conta, non esisteva ancora». La guerra non osava arrivare fino a questo lembo di paradiso, si fermava sulla costa tra Napoli e Sorrento. «Ogni tanto in rada arrivava un panfilo enorme da cui scendeva un signore vestito di bianco, scortato da un gruppo di marinai: era il principe Umberto. Io, che di solito servivo ai tavoli, venivo messo da parte. Ricordo che spiavo da lontano quell'uomo e dicevo: pare proprio come tutti gli altri, non si direbbe che è figlio di re». Nei primi Anni Cinquanta, però, le cose cominciarono a non andare per il verso giusto in casa Mellino. L'isola, che prima della guerra era stata il buen re- tiro di intellettuali, aristocratici, artisti, cominciò a trasformarsi in un salotto mondano, e a Marina Piccola non ci fu più posto per un ristorantino senza pretese in riva al mare. «Così sono venuto in piazzetta a fare il cameriere - spiega Vincenzo -. Per trent'anni ho lavorato al Gran Caffè, poi sono passato al bar Tiberio. Si può dire che sono cresciuto con i clienti più assidin: anche loro erano poco più che ragazzi quando hanno messo piede per la prima volta in piazzetta, e ora hanno i capelli bianchi come me. Molti, purtroppo, sono morti. Chi ricordo con maggiore affetto? La figlia di Mussolini, Edda Ciano. Me la ricordo quando, a guerra finita, veniva a Marina Piccola con i figli e il suo amico, Pietro Capuano. A volte, dopo il lavoro, h' accompagnavo in barca a pescare. Alla contessa piaceva molto, diceva che le distendeva i nervi». Capuano, il gioielliere che qui a Capri chiamavano Chanteclaire come il nome della sua oreficeria meta del jet set internazionale, era diventato un mito da quando una sera, nel ristorante Quisisana, aveva lanciato per burla un innocuo ma fragoroso petardo sotto il tavolo al quale era seduto un Savoia. «Gran signore Chantecler - ricorda Vincenzo -, sempre con il sorriso sulle labbra, cortese e comprensivo con noi camerieri. Era senza dubbio il migliore, molto più generoso di personaggi famosi in tutto il mondo e ricchi da mo¬ rire. Penso a Aristotele Onassis, che sedeva al tavolino con Jacqueline Kennedy. Tutti sull'isola, a cominciare da noi camerieri e dai tassisti, sapevamo che l'armatore era un po' avaro, lui che possedeva una fortuna. Mai una volta che avesse lasciato una mancia degna del suo nome e della sua posizione». L'estate, racconta Mellino, si consumava in una interminabile, fantasmagorica sequenza di feste da mille e una notte nelle ville capresi e nei panfili all'ancora a Marina Grande. E in piaz¬ zetta, naturalmente: sul palcoscenico dove anche lui, anno dopo anno, come una comparsa quasi invisibile ma puntualmente presente a tutte le recite, indossava gli abiti del cameriere. «Si cominciava a maggio con gli inglesi e i tedeschi che scendevano nei grandi alberghi. Quelli che contavano, i vip o come altro li chiamano, arrivavano a luglio e ad agosto - spiega Vincenzo -. Davanti al bar c'era un continuo viavai di volti famosi. Li ho serviti tutti. Rita Hayworth era quasi sempre ubria- ca, tanto sbronza da non riuscire a camminare se non a braccetto di qualcuno. Ingrid Bergman aveva un sorriso bellissimo, servirla era un piacere e noi camerieri litigavamo quasi per portarle l'aperitivo. Invece Curzio Malaparte, lo scrittore, si faceva vedere di rado. A Capri non era molto amato, soprattutto dagli abitanti dell'isola, perché non dava confidenza a nessuno: di lui dicevano che era un uomo cinico e superbo. Il principe Kashoggi arrivava ogni estate con un panfilo che pareva una nave, e passeggiava sempre protetto da decine di guardie del corpo. C'era pure Clark Gable, l'attore con i baffetti e le orecchie a sventola, che qui ha girato un film. E poi ricordo Totò. Guai a chiamarlo così, si arrabbiava moltissimo: diceva sempre che il comico viveva nei film, ma che lui nella vita era il principe Antonio de Curtis. Era sempre serio, triste negli ultimi anni di vita, quando sedeva al tavolo con gli occhi malati e protetti dalle lenti scure». Per Vincenzo Mellino, cameriere in piazzetta, l'epoca della grandeur caprese è davvero finita. «Sarà per via dell'età... sta di fatto che sento dentro una grande nostalgia per quei tempi. Fino a trent'anni fa i bar erano popolati dalle dieci di sera alle sei del mattino. Io e i colleghi non smettevamo mai di girare fra i tavoli: si cominciava con gli aperitivi, si proseguiva con i cocktails e all'alba servivamo cornetti e cappuccini ai clienti appena usciti dal night. Nelle serate libere eravamo ingaggiati come camerieri dai proprietari delle ville di Capri, che davano feste meravigliose. Certe volte, alle quattro del mattino, dovevamo unire in gran fretta i tavoli del bar e svegliare il cuoco di un ristorante qui vicino, perché un cliente al quale non si poteva dire no aveva organizzato una spaghettata in piazzetta». Michele racconta che per giorni e giorni non aveva nemmeno il tempo di scambiare quattro chiacchiere con la moglie e la figlia: «Faticavo come un dannato ma ci provavo gusto, mi sentivo fiero dì servire tanta bella gente. Oggi non posso lamentarmi, grazie a Dio il lavoro non manca. Ma l'estate in piazzetta ha un altro sapore. E' vero, continuano ad arrivare sceicchi, grandi industriali c attori famosi, ma a Capri ci rimangono poco, giusto il tempo per un po' di shopping. Poi se ne tornano sul loro panfilo e via, verso un altro posto. Hanno tutti una gran fretta, chissà perché. Oggi la piazzetta è di quei signori là», borbotta Michele, e indica con un cenno del capo le carovane dei turisti «tutto compreso», che sbirciano un po' incuriositi, e un po' intimiditi, fra i tavolini del bar alla ricerca di un volto noto, come spettatori in attesa del protagonista all'uscita dal teatro. Ma davanti a loro c'è una comparsa dalla faccia segnata dalle troppe recite, che comincia a essere stanca di indossare i panni del cameriere. Fulvio Milone «A Capri spiavo l'arrivo dei panfili Servivo ai tavoli e mi nascondevano» «Lavoro tutta la notte, all'alba c'è chi chiede la spaghettata» «Onassis sedeva con Jacqueline Mai una volta che ci lasciasse la mancia» \ Il cuore \ di Capri A sinistra Totò, uno dei re di Capri «lcl

Luoghi citati: Capri, Hollywood, Napoli, Sorrento