Due lingue straniere per essere europei di Ferdinando Camon

Due lingue straniere per essere europei RIVOLUZIONE NELLE MEDIE Due lingue straniere per essere europei QUANDO torneranno dalle vacanze, i nostri figli troveranno una scuola diversa. Anzi, rivoluzionata. Per una. di quelle rivoluzioni silenziose, infiltrate nei tempi morti, senza tante discussioni, ma che cambiano tutto in profondità. Dal prossimo ottobre infatti sarà garantito a coloro che lo vorranno l'insegnamento della «seconda lingua straniera» nelle medie inferiori, e dall'ottobre del '99 diventerà obbligatorio. Finora le scuole che volevano insegnare due lingue straniere dovevano chiedere il placet del rninistro, e comunque non potevano superare la misura del 4% delle scuole della provincia. Una strozzatura. Ora il placet non è più necessario. Molti dal prossimo ottobre, tutti dall'ottobre successivo, studieranno due lingue straniere. L'accoppiata più frequente, stando ai risultati delle fase sperimentale, si annuncia tedesco-inglese. Poiché l'orario scolastico è quello che è, e il cervello dei ragazzini pure, e non possono contenere più di quel che contengono, una più vasta presenza di lingue e culture straniere comporterà una più ridotta presenza della lingua e della cultura nazionale, intendendo per lingua nazionale anche la sua connessione col latino. Questo significa: finiremo per sapere di più sugli altri, ma meno su di noi. In altri termini: creeremo giovani più europei, ma meno italiani. Questo progetto non urta contro una resistenza dei giovani: loro «vogliono» essere così, più europei e meno italiani. Sentono fortemente il legame orizzontale, che li rapporta ai coetanei di altre lingue, e poco il legame verticale, che li tiene congiunti al passato. Una preside di scuola media mi dice che ha difficoltà a trovare le richieste di lingua francese necessarie per mantenere le cattedre che ha in organico, mentre ha richieste di lingua tedesca in eccesso. Qui si verifica uno di quei fenomeni invisibili in superficie, ma che segnano le trasformazioni profonde: dal 1945 ad oggi siamo cresciuti praticamente senza più sentire il «suono» della lingua tedesca. Non ricordo un'inter¬ vista in tg, una dichiarazione a un Gr, in lingua tedesca. Ne abbiamo sentite ogni anno migliaia in inglese, migliaia ni francese: lo speaker le traduceva, sovrastandole, ma nel sottofondo sentivi il suono e la cadenza della lingua originale. La lingua tedesca non si sentiva più, era nascosta, stava giù, nel mondo della produzione. Erano scarsi i rapporti linguistici, molto più scarsi di quanto la potenza e la gloria di quella lingua comportassero. L'Europa delle lingue ha attraversato mezzo secolo con una grande lingua, pluristatale, tagliata. Ricordo una serata, a casa di un'amica milanese, con un editore tedesco e un suo gruppetto di consiglieri: quando parlavano tra loro usavano la loro lingua, e noi ci bloccavamo di colpo, per ascoltare il ronzio di un suono sepolto in profondità nella memoria. Ecco, adesso i nostri figli chiedono in prevalenza di apprendere quel suono, quella cadenza, per entrare in rapporto con quel mondo. Perché l'Europa che nasce (che non è l'Europa delle culture ma l'Europa degli affari) è a incontrastato dominio tedesco. Fino a un decennio fa la grande alternativa era o inglese o francese. Chi sceglieva una lingua, si precludeva ogni possibilità di rapporto col mondo dell'altra. Abbiamo creato generazioni di studenti tagliate in due: una parte collegata al mondo francese, l'altra all'inglese. Le due parti non erano soltanto scollegate dal mondo che si precludevano: erano anche separate tra loro. Le offerte di lavoro pescavano in un serbatoio o nell'altro («indispensabile conoscenza della ligua inglese») o, più raro, «francese») e l'appartenenza a un «serbatoio» segnava la vita tutta intera: viaggi, guadagni, educazione, gusti. I ragazzi venivano marcati contro la loro volontà, costretti ad apprendere una lingua o l'altra perché nella loro scuola c'era quella cattedra e non l'altra. Questo finisce oggi. Da ottobre si cambia. Se tutto funziona, verrà su una generazione di studenti incomparabile con le precedenti. Finisce un'epoca. Ferdinando Camon lonj

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