Eltsin: espio i peccati dei comunisti

Eltsin: espio i peccati dei comunisti Boris s'inchina alle bare dei Romanov, sepolte nella chiesa di Pietro e Paolo a San Pietroburgo Eltsin: espio i peccati dei comunisti «Oggi cancelliamo una pagina vergognosa» SAN PIETROBURGO DAL NOSTRO INVIATO «La strage di Ekaterinburg è stata una delle pagine più vergognose della nostra storia. Seppellendo i cadaveri degli assassinati vogliamo espiare i peccati dei nostri padri. I funerali di oggi sono un atto di giustizia. Ecco perché non potevo non essere presente e mchinarmi, come uomo e come presidente, davanti alle vittime». Si inchina davvero Boris Eltsin davanti alle bare di Nicola n e della sua famiglia, per chiudere, 80 anni dopo, le porte della Rivoluzione che ha, nel bene e nel male, infiammato il secolo. Eccola tutta riunita la Russia sotto le architetture giocattolesche della chiesa di Pietro e Paolo, per sfogliare quest'ultimo capitolo, sintetizzata come nei titoli di testa di un film. Quella di ieri è nelle piccole bare deposte al centro della navata: lo zar, la moglie, tre figlie, quattro servitori fedeli. La Russia di oggi è, naturalmente, in prima fila, massiccia e debole come Eltsin, l'uomo che ha sostituito al potere gli assassini di Ekaterinburg. C'è anche la Russia di domani, ma per vederla bisogna farsi largo tra i notabili e i boiardi che hanno ingrossato a vista d'occhio come la rana delle favole il corteo funebre. Alexander Lebed, aspirante presidente, è lì: attivo e coriaceo si addestra nella lontana Siberia a marciare su Mosca a colpi di voti con le prossime presidenziali. Lui ha fatto la prima mossa, annunciando che sarebbe venuto a San Pietroburgo, trasformando uno spettacolo storico in un appuntamento politico e costringendo Eltsin, con una misura di saggezza dettata dall'istinto di conservazione, ad imitarlo. Lo zar ha finalmente il suo funerale solenne, con gli ambasciatori, il duca di Kent che gli assomiglia come un sosia e che rappresenta i «cugini» della Casa Reale inglese; con i parenti sparsi in mezzo mondo che in molti casi ignorano il russo ma che, a furia di rilasciare interviste in tv, stanno diventando popolari come vecchi parenti tornati a casa. Strano funerale quello di ieri a San Pietroburgo: bare con poveri resti che la Chiesa ufficiale considera un'impostura propagandistica; il rito celebrato nella chiesa di un'ex fortezza-prigione presidiata da centinaia di uomini dei reparti speciali, riservato a duecento notabili; e presieduto da un uomo, Eltsin, un ex comunista, che ha contribuito alla cancellazione delle prove del delitto ordinando, quando era governatore di Ekaterinburg, la distruzione della casa dove si consumò la strage dei Romanov. Eppure la storia, che spesso dice le cose senza fretta perché non trova subito le parole, ieri ha usato la voce roca di quest'uomo malato e disperatamente impegnato a difendere il suo potere: «Lunghi anni di silenzio hanno accompagnato questo crimine mostruoso. Restituendo alla terra i corpi di questi innocenti vogliamo riscattare il crimine costituito da questo gesto di ima crudeltà insensata. E' un atto di giustizia umana, il simbolo dell'unità del popolo, il riscatto delle sue colpe. Quelli che hanno commesso questo atto barbarico e che l'hanno approvato per decenni sono colpevoli. Ma noi tutti siamo colpevoli. Dobbiamo fare questo in nome delle generazioni di oggi e di quelle future. Dobbiamo terminare questo secolo che è stato quello del sangue e dell'illegalità con il pentimento e la riconciliazione. Al nome dei Romanov sono legate molte memorie gloriose della Russia. Che la terra sia lieve per loro». Nella chiesa dove Eltsin parla la luce è corposa e densa come un grumo di smalto. I diaconi intonano canti che crescono con volume di uragano, si levano come un tuono. Padre Boris Glebov, che officia il rito, ha la faccia di chi ormai si è santamente abituato a vedere intorno a sé la regolare consuetudinaria trasgressione dei comandamenti. Da Mosca il patriarca, tenacemente aggrappato ai suoi dubbi sull'attendibilità delle prove genetiche eseguite sui resti dei sovrani, gli ha intimato di non pronunciare i nomi dello zar, di Alessandra, delle figlie e dei servi. E così padre Boris, avvolto nel guscio della sua stola d'oro, pazientemente sillaba una benedizione centellinata con il bilancino del sofista: «Preghiamo per tutte le persone assassinate a causa della fedeltà alla nostra religione, per tutti coloro che sono morti, senza pronuncia- re i loro nomi. Dio li conosce bene». Eltsin, tenendo in mano come vuole la tradizione un cero acceso, ascolta, seduto. E' l'unico in tutta la chiesa, con un accademico penosamente ottuagenario. Si alzerà soltanto alla fine del lungo rito, al momento dell'inumazione. Quest'uomo stremato (scendendo dall'aereo ha dovuto essere sorretto dalla moglie Naina) come assomiglia allo zar che stanno per seppellire! Anche lui vive circondato dalle guardie che lo proteggono dalla Russia. Anche oggi, come nel '17, tutti ormai dissentono dallo zar, con lui è finita, e tuttavia continua a governare, a promulgare decreti, ha lo Stato nelle mani benché queste mani siano raggrinzite. «Dio accetta le anime morte nei tempi della repressione» canta uh diacono falstaffiano mentre le bare, una ad una, vengono portate nella cappella dove è ricavata la tomba. Sono sistemate come in mia piramide, primi i servi, poi là famiglia imperiale. Restano due posti vuoti per Alessio e Maria, i due figli di cui non sono ancora state ritrovate le tracce nell'insanguinato mistero di Ekaterinburg. Quando la bara di Nicola scende nel sacello le salve di cannone scuotono l'aria: 19 colpi, non 21 perché lui era imo zar colpevole di aver abdicato. Sfilano i 60 Romanov ar- rivati da ogni parte del mondo, con in testa Michele che si è conquistato in questi giorni sul campo il titolo di capo della casata. La sua rivale, la granduchessa Maria che gli contende il titolo, pretendeva un podio speciale per venire nella chiesa di Pietro e Paolo. E' rimasta a Mosca, spettatrice dimenticata della controcerimonia che il patriarca Alessio ha celebrato in un monastero vicino alla capitale. Tutti, come vuole il rito, gettano un pugno di terra nella tomba. Poi è la volta di Eltsin: la mano sul cuore abbozza, faticosamente, un altro inchino. Cinque, sei anni fa quando il regime comunista era appena caduto, tutto questo avrebbe avuto ben altro significato. Avrebbe detto con chiarezza e vigore che era tempo per l'umanità russa di dimenticare quel che non è necessario del suo passato. Meglio, di ricordarlo, ma come di cosa passata e non esistente. Era il tempo in cui in Russia c'erano ancora movimenti e slogan democratici; fare i conti con il passato aveva un altro senso. Oggi tutto è cambiato. I debiti e la corruzione rodono il Paese come la capra rosicchia l'albero. Tra gli invitati nella chiesa di Pietro e Paolo, a fianco di Rostropovich e di Javlinskij, ieri c'era la moglie di Sobchak, ex sindaco-padrone di San Pietroburgo. Lei è deputato, lui è latitante all'estero, per sfuggire ai processi per corruzione. L'indignazione si è spenta come un orgasmo, il sonno è tornato. I gesti e le parole hanno perso profondità e vigore. I nuovi russi che ghermiscono ii potere sono degli intrusi, non hanno passato, sono figli del presente E infatti l'odore della politica ieri era sospeso nella chiesa come l'odore pirico del campo di battaglia, più forte dell'incenso. Si vede che gli schieramenti cominciano ad ammassarsi in due campi contrapposti per un altro scontro. La cerimonia è finita. Gli operai montano il sarcofago come se fosse un puzzle. Le lastre e il sacello che da lontano appaiono con i riflessi del marmo vengono spostati con facilità, quasi fossero senza peso. Infatti, a coprire il sonno dell'ultimo zar, sono pannelli di legno dipinto, un misero sarcofago da bricolage. Ma tutto questo forse non importa. In tv il pilota che ha guidato l'aereo con le bare dei sovrani, racconta che poco dopo la partenza da Ekaterinburg si è scatenato un temporale biblico. Quando già disperava della salvezza, il cielo improvvisamente si è aperto «come per intervento di Dio». La Chiesa ortodossa pretendeva miracoli per riconoscere questi resti. Eccoli, sono cominciati. Domenico Quirico Il rito celebrato nella ex fortezza-prigione presidiata da centinaia di uomini delle forze speciali Nella folla c'è anche il generale Lebed, aspirante Presidente Nella cappella due posti vuoti per Alessio e Maria E il patriarca celebra una contro-messa msrmar Due donne con i ritratti di Nicola e dell'imperatrice Alessandra Sotto, Boris Eltsin al funerale