BUZZANCA di Fulvia Caprara

BUZZANCA Un ruolo cinematografico, dopo dieci anni, per l'attore simbolo del gallismo all'italiana ROMA. Un «macho» d'altri tempi, sopravvissuto indenne alle tempeste femministe, alle accuse di chi, in quell'epoca di battaglie e contrapposizioni, lo aveva definito con disprezzo «reperto storico del maschilismo». Un signore che non ha perso l'abitudine al baciamano, che parla di donne in modo antico, usando termini come «femmina» e «cacciare». Un artista che a 60 anni compiuti confessa di essere «alla ricerca di una dignità d'attore» e soprattutto non rinnega il suo passato. Anche solo per questo si potrebbe perdonare a Landò Buzzanca, nato a Palermo e non a Catania come dice l'Enciclopedia dello spettacolo, la lunga serie di commediole piccanti, da «Il merlo maschio» a «Io e lui», da «Il domestico» a «Il gatto mammone», che gli diedero il successo nella prima metà degli Anni Settanta. Una popolarità legata a ruoli pecorecci, a figure di uomini ossessionati dal sesso, dominatori mancati alla ricerca di donne-schiave, mentre in realtà le vittime erano loro. «Nessuno ha capito - dice oggi Buzzanca con il suo tono appassionato e altisonante - che in quei film mettevo alla berlina un tipo d'uomo che ancora esiste: debole, immaturo, incapace di crescere. Le donne, in questi anni, sono andate avanti, sono cambiate, l'uomo invece è rimasto al palo, ancora legato al sogno della compagna-schiava, un desiderio che si spiega solo con la stupidità maschile». In effetti... «Sì - incalza Buzzanca - il vero femminista sono io perché sono rimasto maschilista, legato ai vecchi tempi, ai vecchi concetti di fedeltà... Secondo me, per esempio, le mogli devono essere trattate come amanti, allora sì che la coppia dura in eterno». E guai a pronunciare il termine Viagra: «Non ne ho bisogno, ma se mi capitasse di dover ricorrere a un espediente del genere mi guarderei bene dal farlo sapere alla mia compagna: se una donna realizza di non aver più alcun potere di attrazione su un uomo, è naturale che perda qualsiasi interesse nei suoi confronti. Non c'è più storia, e allora il divertimento dov'è?». Magari al cinema il divertimento poteva pure esserci: Dio solo sa cosa avrebbero potuto combinare i registi e gli sceneggiatori dei film che hanno reso famoso Buzzanca se avessero avuto a disposizione uno spunto come il Viagra. Ma a tutto questo l'attore na da tempo detto basta: «Sono sempre stato padrone delle mie scelte e, a un certo punto, ho sentito il desiderio di allontanarmi da un certo tipo di cinema. In quei panni ormai mi sentivo logoro, forse perchè ero cresciuto, avevo superato i 30 anni e, come uomo adulto, avevo pretese nuove, traguardi diversi». Così, anche se le proposte continuavano a fioccare, Buzzanca ha cambiato strada, ha cercato altre soddisfazioni, si è messo a fare teatro, spesso scegliendo «di dare una mano ai giovani talenti», e ha dovuto aspettare la bellezza di dieci anni per poter tornare ad avere un ruolo da protagonista al cinema. Ma adesso l'obiettivo è raggiunto, e l'attore ha potuto interpretare nel film di Rocco Cesareo «Il popolo degli uccelli» (le riprese, ambientate a Roma, nel quartiere della Garbatella, sono terminate da pochi giorni) il ruolo di «un nonno del terzo millennio». La storia, una commedia familiare dai toni teneri ma non piagnucolosi, ruota intorno alla figura di un neo-pensionato, un anziano che non è ancora anziano, costretto dalla società e dal contesto in cui vive a considerarsi inevitabilmente un peso, un pensiero in più per gli altri, anche per i familiari che gli vogliono bene. «Mi sono innamorato subito di questo personaggio - dice Buzzanca - perché parla di un disagio moderno, di un nonno di oggi, attivo, vivo, con le sue pretese, eppure ridotto, per via del modo in cui è organizzata la nostra società, a sentirsi ingombrante». Per que¬ sto, alla fine, il nonno cercherà una nuova soluzione, magari «un'altra vita, lontano dalla famiglia, forse anche in un ospizio». Nella speranza che il film di Cesareo riesca a trovare una collocazione nella prossima Mostra del cinema di Venezia, Buzzanca coltiva altri progetti, sia in teatro (dove lo attende una «Bisbetica domata») che al cinema dove, diretto da Enrico Roseo, potrebbe addirittura trovarsi ad avere come partner Mia Farrow, in una storia che parla di un italo-americano che torna nella sua Sicilia alla ricerca di una donna. Con un altro autore giovane, Sandro Cecca, Buzzanca dovrebbe interpretare «Maestrale», descrizione del rovinoso rapporto di un uomo in età con una ragazzina. «Spero molto - commenta l'attore - di poter fare, anche in futuro, personaggi raccontati con sincerità, in cui riesco a ritrovarmi». Non c'è spazio, quindi, almeno nell'immediato, per un ritorno in tv, dove Buzzanca ha dato vita a varietà famosi, al fianco di Delia Scala e di Ivana Monti, e ha anche partecipato a un'edi¬ zione di «Striscia la notizia». «Ma adesso in video non tornerei - dice l'attore - perché c'è un gran dilettantismo e gli artisti vengono chiamati unicamente per presentare delle cose: prima il balletto, poi la canzone e così via». Anche la politica ha dato a Landò Buzzanca qualche delusione: «Sono sempre stato anticomunista, fin da bambino. Nei confronti di Almirante ho nutrito una fortissima ammirazione e quando Firn ha avuto bisogno di me, cioè mi ha chiesto se poteva dire pubblicamente che io lo sostenevo, ho subito accettato. In seguito Fini mi ha convinto solo in parte e adesso mi trovo più d'accordo con le posizioni di un partito di centro come l'Udr». Per Buzzanca sono importanti soprattutto «gli uomini, le idee che hanno, il loro impegno individuale». E dopo Almirante, nell'elenco dei personaggi politici da stimare, viene subito Andreotti, «una vittima del sistema, uno che sta pagando il torto di essere un grand'uomo». Fulvia Caprara «Io pentito? No, sono sempre stato «Sarò un uomo anziano costretto padrone delle mie scelte: dalla società a sentirsi un peso: ma quei panni mi stavano stretti» una storia che mi ha conquistato»

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