Italiani, figli della censura di Oreste Del Buono

Italiani, figli della censura ANTEPRIMA. Incontra con Del Buono davanti alle immagini di «Italia taglia»: tutto quel che non ci hanno fatto vedere Italiani, figli della censura «Tra virtù e voyeurismo, nasce il nostro carattere» E' MILANO un'idea da pazzi» dice Oreste del Buono mentre si accomoda davanti al videoregistratore, allegro. Perché da pazzi? «Glielo spiegherò dopo». Chiede: «Quanto dura?». Sessanta minuti. «Esattamente cosa c'è dentro?». Una cinquantina di tagli, taglietti, sforbiciatine, alleggerimenti, potature di film e filmetti, cinegiornali, documentari. Tutta roba Anni 50-60, con qualche escursione nei 70. Un campionario portatile di ottusa acutezza censoria italica. «Bene, bene». Resta da aggiungere: il titolo è Italia taglia. L'autore è Tatti Sanguineti, cinefilo di atavica insonnia e di immensi archivi e di ottimo naso che proprio alla Cineteca di Bologna individuò il lascito di un benemerito, il signor Piero Tortolina di Piacenza, che regalò la sua personale collezione di tagli accumulati in un trentennio, per passione e preveggenza. Il video è la prima parte di una serie. La serie si chiamerà Gli ultimi tagli di Pompei, giungerà ai giorni nostri mostrandoci nudità, parolacce, sconvenienze, coperte dalle ceneri di forbici eruttive, lapilli di buon costume, lava di pudori & pruriti. Bene. Prima scena. Totò e Araldo Tieri guardano, dietro a un acquario, una donna discinta. Tra il loro sguardo e il seno della bella, impalla un pesciolino che s'arresta. Totò: «Levati!». Niente da fare. E allora la battuta: «Dev'essere democristiano questo pesce!». Seconda scena. Nudità di gambe fernminili intrecciate a nudità di gambe maschili. Lui accarezza lei. Lei dice: «Le mie gambe, le mie cosce... Sempre tragedie». Lui dice: «Toglitele», intendendo le mutandine. E così via. Siamo dentro a La femme marìée, Jean-Luc Godard, 1964. E poi alla rinfusa: Pabrizi nel saio di un frate che dice: «Giovanni XXIU, er papa pacioccone nostro». Rascel nel Corazziere che mima l'ex re d'Italia. Tognazzi vestito da frate che gioca d'azzardo. Un com missario di polizia che intasca la mazzetta da un commerciante. La mamma che dice al figlio: «Devi abituarti da piccolo alle ingiustizie, perché da grande...». Poi varie sequenze estirpate di bellissime donne finto-orientali addette a balli peccaminosi, con improbabili due pezzi adriatici e serpenti eretti, aste, sguardi maschili grondanti, compreso quello borgataro di un Maciste ben oliato. Poi i cinegiornali politicamente scorretti: l'esercito in cattiva luce, i preti in cattiva luce, i ricchi che se la spassano a champagne, insomma le eterne istituzioni dell'Italietta scalfite da ridondanze non ortodosse. Del Buono guarda con un mezzo sorriso: «Sa chi c'era tra gli altri a scrivere i testi dei cinegiornali? C'era il grande Giacomo De Benedetti, il critico, l'autore di U romanzo del Novecento. Cominciò negli anni del fascismo sotto falso nome perché era ebreo. E anche dopo arrotondava con questa roba». Stop al videoregistratore. Impressioni? «I tagli mi sembrano risibili/Sono il frutto di piccole ossessioni, di moralismo provinciale, di zelo. La storia della censura andrebbe una volta o l'altra rivista in questa chiave, non come permanente combattimento per la libertà, ma per la malizia». Nel senso che? «Che la vera censura, tranne alcuni casi che hanno fatto storia e avevano un significato profondo,-penso innanzitutto a Luchino Visconti o a Bergman, venivano fatti dagli stessi registi». Funzionava l'autocensura? «Esatto. Lo stesso Fellini tagliava, cuciva, tagliava. Tutto da solo. Tanto che una volta, seguendolo sul set dei Clown, gli proposi di montare un documento utilizzando solo i tagli». E lo fece? «Sì, il titolo era Fellini nel cestino*. Ma quella non era censura. «Non nel senso esatto del termine. Erano ripensamenti, riscrittura, ma anche piccoli aggiustamenti, in via preventiva, per non incorrere nei tagli altrui». In quanto alla malizia? «Eccoci al punto. La storia del nudo, diciamo pure la storia del seno, delie poppe mostrate, è una ossessione tutta italiana, cominciò addirittura durante il fascismo, ma sempre ondeggiando tra la necessità di essere virtuosi e la voglia di essere voyeur. Quando Pavolini si invaghì della Durante, che era un'attrice, Mussolini lo convocò a Palazzo Venezia. Gli disse: stai trascurando la famiglia, non va bene. Allora Pavolini gli proiettò una bella serie di immagini della Durante a seno scoperto e alla fine Mussolini era tutto contento, conveniva sulla bellezza... Insomma si congratulò con lui». Lei sta dicendo che questo è il carattere... «Sì il carattere profondo degli italiani, e la censura, quella che si vede in questo documento, ne discende. I registi facevano i furbi, mettevano un po' di tétte in controluce, una coscia, lasciavano una sbirciatina, un colpetto d'occhio... Voglio dire che in palio non c'era la nobile libertà, semmai qualche metro di prurito...». Prurito speculare a quello dei censori, però. «Sicuramente. Come è sempre stato a partire dai pruriti della Sacra Romana Chiesa che è stata la massima fabbricatrice di biaghettoni e contemporaneamente di immagini che li avrebbero reclamati. Nelle chiese ci sono migliaia di sante e madonne con seni prorompenti. E' tutto un vedo non vedo». Continua: «Intendo dire che la censura autentica non è la sforbiciata ai film. La censura che pesò in Italia fu quella in televisione. Anzi fu la televisione, dato che la Rai nasce sull'idea stessa di censura come mezzo e di pedagogia come fine. Lì si stabiliva quello che gli italiani potevano vedere e quello che non potevano. Gedda in primis e Bernabei poi, stilarono i canoni del buon costume, del sentimento nazionale, della buona politica. Persino del lessico. Erano abolite parole come "membro" e tutte le pericolose rime in "azzo"». Dice Oreste del Buono: «Quella fu la censura davvero pervasiva, la pressione che modellò la creta italiana, i comportamenti pubblici, compresi quelli dei registi e dei produttori che si autoimponevano i limiti prima e non dopo». Lei dice: la censura vera non è tagliabile perché ciò che andava censurato neppure diventava materia, scompariva prima ancora di nascere? «Esatto». E' per questo che considera Italia taglia un'idea pazza? «Sì, perché si occupa di una cosa che non potremo mai vedere veramente». Ma che pure è esistita, esiste, esisterà, «Certo, come i fantasmi» . Allora potremmo considerare questi tagli i pezzetti del lenzuolo rimasti impighatioiiUn'ormairnon cancellata. Un profumo che persiste. «Solo questo», dice. E poi: «Ve diamone ancora un pezzetto». Pino Corrias Una pellicola costruita da Tatti Sanguineti con le sequenze vittime di pudori & pruriti «E' stata la Mi a stabilire i canoni del buon costume e del sentimento nazionale» i Aldo Fabrizi in «Fra Marisco cena guai», sotto Totò, a destra il «Corazziere» Renato Rascel: anche loro vittime della censura. Nell'immagine grande Isa Bandzza, bellezza provocante degli Anni 50. In basso Oreste del Buono

Luoghi citati: Bologna, Italia, Milano, Piacenza, Pompei, Venezia