Idolo per merito di usi manager

Idolo per merito di usi manager Idolo per merito di usi manager Successi effimeri contro avversari mediocri ROMA Nino La Rocca ovvero quando il pugilato illude e non si trasforma in un toccasana per tutti i mali. L'episodio di ieri è solo l'epilogo di una storia triste, la storia di un campione che non era un campione vero, ma soltanto un idolo costruito da un abile manager e da un organizzatore altrettanto avveduto. Nino, al secolo Tijani Sidibe, originario del Mah dov'è nato 39 anni fa, arrivò in Italia dalla Francia presentato all'organizzatore pugilistico Rodolfo Sabbatini da uno zio che voleva lanciarlo nella nostra boxe, allora al massimo fulgore. Sabbatini fu incantato a scatola chiusa dalla personalità scanzonata del ragazzo ancor prima di constatarne certe istintive qualità pugilistiche. Venne affidato ad un abile tecnico come il genovese Rocco Agostino, che si impegnò a trasformarlo in un pugile professionista vero, diventato intanto «italiano» almeno di nome per iniziativa dello stesso Sabbatini. Del campione vero Nino aveva le doti naturali ma non la costanza, la capacità di soffrire, il temperamento. Con sapiente lavoro in tandem Sabbatini e Agostino riuscirono a fare di La Roc¬ ca una star, aiutati anche dallo spirito di iniziativa dello stesso pugile che riuscì ad ottenere la cittadinanza italiana grazie ad un appello diretto al presidente della Repubblica Sandro Pertini. Un'ininterrotta serie di vittorie per ko contro avversari scelti con la massima cura dai suoi conduttori riuscì a portarlo prima alla soglia del titolo europeo poi addirittura alla sfida mondiale contro il picchiatore americano Donald Curry. Ma il bluff venne fuori crudelmente, rivelando al mondo che l'estro, la simpatia, l'abilità nelle pubbliche relazioni non potevano bastare a fare di Nino un vero campione, quando gli mancava soprattutto il «cuore» del fuoriclasse del ring. Era l'anno 1984, Nino La Rocca aveva appena 25 anni, ma scendere dallo scalino più alto fu un dramma le cui conseguenze si proiettano nel tempo fino all'episodio di ieri. Quella di Nino avrebbe potuto essere comunque una bella avventura. Grazie al pugilato che, malgrado il fallimento finale, gli aveva garantito grossi guadagni, La Rocca avrebbe potuto a 25 anni realizzarsi almeno come uomo. Ma anche come uomo ha fallito. Aveva le mani bucate e ha dissipato follemente quanto la boxe gli aveva regalato; un matrimonio sbagliato con un'indossatrice poi trasformatasi in pornostar gli diede un altro duro colpo. La conquista del titolo europeo a 30 anni nell'89 sembrò offrirgli un'ultima chanche, ma il suo momento era passato cinque anni prima e Nino non aveva saputo sfruttarlo. Da allora la storia di La Rocca è stata una discesa verticale, complicata anche da un'amara vicenda per l'affidamento di un figlio. Sapeva solo fare il pugile ma anche per questo duro mestiere non era più all'altezza tanto da essere abbandonato al suo destino dal manager Rocco Agostino, stanco della sua inaffidabihtà. Ora, a 39 anni, chiede di poter fare la sola cosa che sa fare, cioè tirar pugni sul ring. Ma per le leggi il limite all'agonismo, salvo deroghe per i campioni in carica scade a 35 anni. Nino chiede aiuto all'Italia con questo gesto plateale senza voltarsi indietro a riflettere che il nemico che lo ha fatto cadere così in basso è proprio quello che lui vede ogni mattino riflesso nello specchio. Gianni Pignata

Luoghi citati: Francia, Italia, Roma