Diktat Usa alla Corte internazionale di Maurizio Molinari

Diktat Usa alla Corte internazionale Ma la risposta di Clinton alla lettera di Prodi riapre spiragli di trattativa Diktat Usa alla Corte internazionale Washington teme che i magistrati possano violare la sovranità degli Stati ROMA.Uno scambio di lettere fra Prodi e Clinton ha aperto un primo spiraglio di compromesso nell'arroventata trattativa sulla nascita del Tribunale penale internazionale, che ha visto ieri la delegazione americana ribadire con forza la propria opposizione ad una Corte che abbia il potere di violare la sovranità degli Stati. I cinquemila delegati dei 162 Paesi che partecipano alla conferenza diplomatica, presieduta da Giovanni Conso, hanno tempo fino a domani sera per approvare lo Statuto. Le delegazioni si sono incontrate ininterrottamente ieri, anche a notte inoltrata, nel Palazzo della Fao in una difficile trattativa per varare il «pacchetto» che servirà da piattaforma dello Statuto del Tpi. «Siamo alla fine della conferenza e un accordo ancora non c'è ma aspettiamo il pacchetto finale per dire l'ultima parola», ha affermato David Scheffer, rappresentante degli Stati Uniti, sottolineando però che il testo finora discusso è «inaccettabile per i governi che rappresentano due terzi della popolazione mondiale» (chiaro il riferimento a Cina, India e Messico schierati su posizioni simili). Per gli Usa il nodo di fondo è il rispetto della sovranità delle nazioni, un concetto sa cui la Casa Bianca punta sia per difendere il ruolo super partes del Consiglio di Sicurezza dell'Orni che per tutelare lo status dei suoi contingenti militari all'estero. «Pensare di creare una giustizia internazionale del tutto slegata dal consenso degli Stati è un approccio da sognatori che non tiene conto di come è oggi il mondo - ha detto Scheffer - e che porterà alla nascita solo di un piccolo club a causa della mancata firma di molti Paesi che invece vorrebbero aderire». Washington ritiene quindi che affinché u Tpi possa lavorare «sul serio» serve una piattaforma «realistica» che preveda il consenso degli Stati alle indagini, per poter raggiungere l'obiettivo che conta di più: «Perseguire i singoli responsabili di crimini orribili». E' dunque reale il rischio che Washington - e altri membri permanenti del Consiglio di Sicurezza - non aderiscano al nascituro Tpi. Ma Scheffer pur non escludendo con franchezza il «fallimento» ha lasciato la porta aperta agli esiti delle ultime trattative, sulle quali nel tardo pomeriggio si è inserita la risposta di Bill Clinton ad una precedente lettera in cui il presidente del Consiglio, Romano Prodi, aveva elencato dei punti di possibile compromesso. «Ringrazio l'Italia per la comprensione dimostrata per le nostre esigenze e credo nel ruolo della vostra leadership per spingere anche le altre delegazioni verso questo compromesso. Ciò contribuirebbe ad aumentare le possibilità di successo della conferenza», scrìve Clinton a Prodi suggerendo una mediazione italiana fra Europa e Stati Uniti. «Ora tocca agli europei fare concessioni», conclude Clinton. La risposta è stata definita «incoraggiante» e un «segno positivo» da Palazzo Chigi perché il Presidente Usa ha espresso «interesse analogo al nostro per una positiva conclusione dei lavori della conferenza». Prodi d'altra parte non fa mistero di ritenere «un errore» pensare di dar vita al Tpi «anche senza un vasto sostegno». Dopo le lettere fonti diplomatiche ritengono «possibili delle convergenze» su temi decisivi come: rapporti fra Tpi e giurisdizioni nazionali; ruolo del Consiglio di Sicurezza; efficacia e indipendenza della Corte. Maurizio Molinari il presidente dei Consiglio Romano Prodi e il presidente degli Stati Uniti Bill Clinton