IL MONOPOLIO DELL'IDENTITÀ'

IL MONOPOLIO DELL'IDENTITÀ' IL MONOPOLIO DELL'IDENTITÀ' Tra etnia e colonizzazione ppdel mondo contemporaneo. Dal l'uso antropologico passata al vocabolario della comunicazione di massa, la cultura non è più quella figura di astratta dottrina e di progresso civilizzatore che abitava nel secolo scorso il nostro immaginario occidentale. Espansa al massimo, la cultura comprende tutte le attività umane e figura come elargitrice di senso alla nostra storia, al nostro esistere. Anche l'antico contrasto tra natura (innata) e cultura (acquisita) tende a riassorbirsi, l'accento cade sull'interazione tra i due momenti. In quanto sistema simbolico insomma la cultura agisce sulla natura e la costruisce, essa stessa è sostanzialmente invenzione, una costruzione intellettuale e sociale. Per introdurre concretamente il discorso sulla suddivisione e distinzione tra le culture Annamaria Ravera porta l'esempio della cultura berbera: un mito inventato dall'amministrazione francese, e da quella etnografia che la sorreggeva, per sottolineare ai propri fini il contrasto tra la cultura arabo-musulmana e il patrimonio intatto e originario dei berberi. Non per caso la suddivisione in entità separate tra le culture si mostra funzionale al neorazzismo e, tutt'al contrario, non pochi antropologi sostengono una logica «meticcia» che tenga conto degli scambi culturali e delle contaminazioni, dei sincretismi che caratterizzano le vicende di questi nostri anni. I culti millenaristici e messianici dell'Africa in cerca di indipendenza, i culti melanesiani del cargo erano movimenti sincretici che recuperavano elementi della tradizione ed elementi della cultura colonizzatrice per aprire alla modernizzazione. E le culture della diaspora in Europa, nate dalle migrazioni internazionali, in Francia in Germania in Inghilterra mescolano il patrimonio originario tradizionale alla cultura del paese in cui risiedono e così danno vita a forme nuove a invenzioni meticce della identità. L'identità è un prezioso elemento del patrimonio nazionale. Esiste un «monopolio» dell'identità che per esempio in Francia si può ricostruire attraverso la storia dei documenti di identificazione accennata da Gallissot: la carta di identità fu imposta ai lavoratori stranieri nel 1916, prima della grande guerra non esistevano documenti di identità. Gli Stati nazionali hanno identificato nella nazione la comunità primaria di identificazione e così hanno prodotto l'etnicizzazione degli stranieri, esclusi dai diritti della cittadinanza. Oggi questi diritti stanno perdendo la dimensione nazionale e i diritti dell'uomo sono sostenuti da movimenti a carattere trans-nazionale: le donne, i giovani, i movimenti per la pace e contro il nucleare. Ma etnici sono sempre gh altri, gli esclusi dalla norma nazionale. L'etnicità - il termine e il concetto vengono dagli Stati Uniti - è anch'essa una invenzione di differenze culturali e vale a costruire la classificazione di gerarchie economiche e socio-politiche che servono a nascondere la marginalizzazione o subordi¬ nazione dei gruppi etnicizzati. Le guerre e i genocidi avvenuti in Ruanda e nel Burundi sono stati interpretati dal mondo occidentale alla luce dei principi di tribalità e di identità, senza tenere conto della tragica modernità che questi conflitti, malamente definiti etnici, esprimevano rilevando profondissime fratture che risalivano alla colonizzazione belga. L'etnia è una categoria che serve, oltre che a differenziare gli altri, anche a valorizzare se stessi, la sua risonanza sociale può essere utilizzata come una precisa strategia. Si pensi alle richieste di autonomie e di indipendenza territoriale avanzate dalle minoranze (in Italia gh sloveni, i sud-tirolesi) o dalla Lega Nord nei casi delle identità black o beur (il termine si riferisce ai giovani maghrebini in Francia) l'etnia agisce come difesa contro l'esclusione e la negazione dei diritti. Il termine etnia spesso è stato utilizzato in luogo di quello di razza, un termine ormai scientificamente logorato. A monte di entrambi sta l'esperienza coloniale, appartenuta anche all'Italia che, sia pure con ritardo, negli ultimi tempi si è accorta di essere diventata una società d'immigrazione. Un secolo di rimozione storica del nostro colonialismo, e del razzismo che l'ha accompagnato, hanno dato lunga vita al mito degli «italiani brava gente». Dei «marocchini» termine usato per gli italiani del Sud - ai «vu' cumprà», all'immigrato che comprende anche lo zingaro, alla categoria degli irregolari e dei clandestini e dei «temporaneamente presenti», (immensa la pudicizia delle nostre amministrazioni) uomini invisibili e non persone, il nostro linguaggio riflette soprattutto una indesiderabilità sociale che non tiene conto del ruolo produttivo dei migranti. Prevalgono invece gli stereotipi miserabilisti legati a una forte ideologia «sicuritaria» che associa strettamente l'immigrazione alla sicurezza urbana e quindi ai problemi dell'ordine pubblico. Pochi - osserva Annamaria Ravera - notano che le principali vittime dell'insicurezza sono gli stranieri. Gli autori tengono a sottolineare che le forme del razzismo non sono riconducibili solo allo sviluppo capitalistico e ai conflitti di classe, che occorre riconoscere la relativa autonomia delle matrici culturali anche se queste forme non possono essere analizzate solo in chiave psicologica o cognitivista. Al cuore del razzismo, alle sue scaturigini si trovano le relazioni sociali ma la parola chiave per comprendere il razzismo di oggi e le sue trasformazioni è la differenza. Il neorazzismo si fonda sull'enfatizzazione di incolmabili differenze tra noi e gh immigrati e nasce da un clima culturale in cui si ripresentano varie forme di determinismo genetico. «Impure» e meticce identità e culture sembrano invece vivere nella dinamica storica della ibridazione e dello scambio. Delia Frigessi L'IMBROGLIO ETNICO IN DIECI PAROLE CHIAVE René Gallissot e Annamaria Rivera Dedalo pp. 203 L. 25.000 L'IMBROGLIO ETNICO IN DIECI PAROLE CHIAVE René Gallissot e Annamaria Rivera Dedalo pp. 203 L. 25.000 RESCE una smania, o gran moda dei manuali e dei compendi confezionati anche abilmente: introduzioni seguite da testi, esercizi e chi più ne ha più ne mette. Il lettore trova un piatto preparato per tutti i gusti ma l'ingrediente essenziale è di solito la semplicità, la facilità di lettura. Scritto a quattro mani e presentato con un titolo di forte allusività anche questo libro sembra presentarsi in veste di manuale che in brevi saggi riferiti a dieci parole chiave pretenda di sbrogliare l'arruffata matassa dei problemi etnici nella società di oggi. Ma gli autori - francese lo storico e direttore dell'Istituto parigino Maghreb-Europa, italiana l'antropologa - sono riusciti in tutt'altra impresa: il depistaggio e lo smontaggio dei preconcetti e delle nozioni che si muovono sul filo della riflessione storico-politica e che sovraintendono anche ai nostri comportamenti. Cultura, etnia, nazione, comunità razza e loro derivati formano una complessa costellazione che ingloba una parte importante dei problemi di cui è piena la scena d

Persone citate: Annamaria Ravera, Annamaria Rivera, Delia Frigessi, Gallissot, René Gallissot