IN ITALIA SI POTREBBE UCCIDERE PER UN PREMIO LETTERARIO? di Mirella Serri

IN ITALIA SI POTREBBE UCCIDERE PER UN PREMIO LETTERARIO? IN ITALIA SI POTREBBE UCCIDERE PER UN PREMIO LETTERARIO? Inchiesta sulVonda del provocatorio romanzo di Montalbàn RANDE festa per il premio letterario. Incorona il suo vincitore con 100 sonanti milioni di pesetas. In apparenza gli scrittori concorrenti, con sorriso cinico e «lingua bifida», manifestano un grande disprezzo per il connubio tra quattrini e letteratura. Però, poi, accorrono in massa per cercare di fare un bel boccone del gruzzolo messo in ballo da Conesal, proprietario dell'albergo in cui è ospitata la giuria che designerà il vincitore (già stabilito in anticipo dall'industriale-padrone al cui volere soggiacciono servili gli scrittori e i giornalisti). Alla kermesse partecipa il fior fiore della società letteraria: ci sono manager editoriali specializzati nel ringiovanire le case editrici (licenziano tutti quelli che hanno superato i 35 anni), venditori di opere enciclopediche, politici, avvocati, medici, professionisti che sono scrittori per diporto e ambiscono al successo letterario. Accanto ai tradizionali pescecani della vecchia oligarchia ci sono, poi, i parvenus, i nuovi ricchi e i nuovi potenti del partito socialista insediatosi al potere. Ma ci sono anche esponenti della nuova de pnti della nuova destra avidi di prendere posizioni nei territori culturali tradizionalmente monopolizzati dalle sinistre. No, non stiamo partecipando ad una delle tante serate della premiopoli italiana: ci troviamo in un fervido parto letterario nato dalla penna di Manuel Vàzquez Montalbàn, II premio. Tipi non sempre raccomandabili affollano il torbido.mondo in cui si intrecciano ambizioni letterarie e passioni amorose, si accavallano erudite disquisizioni e cultura kitch. C'è la giornalista culturale Maria Segurola, gambe corte, cervello fino e una grande capacità di chiacchiera. E' presente il critico Altamirano, che promette a tutti gli scrittori il primo posto nella classifica che stilerà per il Duemila. Non scherza, quanto ad ambiguità e cialtroneria, il raffinato narratore Oriòl Sagalés, rara specie di letterato avanguardista che scrive i suoi libri affinché non vengano letti da nessuno: è riuscito a superare i 50 anni con un numero limitatissimo di lettori scelti di cui conosce a memoria i numeri telefonici. L'accompagna Fernandez Tutor, editore per bibliofili, destinatario di consistenti sovvenzioni ministeriali. Non manca un Premio Nobel che passa da incomprensibili e dotte citazioni latine, sottolineate da potenti rutti, ad un gergo molto scurrile. E c'è anche una popputa docente «in grado di vincere tutte le battaglie contro la gravità». Si parla del più e del meno facendo un bel po' di strafalcioni: il filosofo Lukacs diventa Lucas e Salman Rushdie si trasforma in Salomon. E intanto i giurati del Premio si troveranno coinvolti in un misterioso delitto a cui applica il proprio fiuto d'investigatore Pepe Carvalho. I letterati iberici non ci fanno una bella figura: tra cocktail e mondanità, la letteratura e la cultura non contano niente. In Italia possiamo specchiarci in questa descrizione? «Non autodenigriamoci troppo - osserva Francesca Sanvitale -. Non siamo a livello della realtà grottesca di Montalbàn. Gli intellettuali non sono sospettabili di troppi traffici. Per un motivo semplice: la posta in ballo non è mai molto alta e scrittori, saggisti, artisti hanno assai poco potere. Le loro lotte e conflitti, anche se alti, spesso si ridimensionano. Certo, la diffusione dei premi nella Penisola è notevole. Ma viene soprattutto per un impulso regionalistico, campanilistico. Le amministrazioni locali cercano di promuovere la propria immagine attraverso una manifestazione letteraria. Indubbiamente si esagera. Comunque, a mio parere, bisogna distinguere, non tutti i premi sono corrotti o combinano delle pastette». Premiopoli: qual è esattamente il numero dei riconoscimenti che vengono distribuiti nella Penisola? «Sono circa 1700 - afferma la saggista Cinzia Tani che nel suo libro dedicato a Premiopoli aveva tracciato una mappa del fenomeno -. Ogni anno molte iniziative muoiono, però nuove manifestazioni vedono la luce. Altre si trasformano nel tempo. Se cambia la composizione politica di una giunta muta faccia anche il premio. Per esempio, un riconoscimento istituito per opere di narrativa può diventare un premio per la saggistica o per la poesia, e viceversa. Magari si sostituiscono anche i giurati. Mancano però i concorsi per opere inedite. Io credo che funzionino meglio i premi con giurie "selezionate" come il Campiello cui si affiancano i lettori popolari». Un tempo le manifestazioni letterarie esistevano in quanto espressioni di una compatta società. E oggi questa società letteraria esiste ancora? «Ma certo - osserva Edoardo Sanguineti, ex esponente del Gruppo 63, assai critico, in passato, verso l'istituzione dei premi -. Lo dimostra, per esempio, la grande attenzione che il pubblico dedica allo Strega, che riesce sempre a riempire le pagine dei giornali e a far discutere. Contemporaneamente si tratta di una società attraversata da un profondo senso di disagio. Questa doppia caratteristica genera atteggiamenti contraddittori molto intellettuali che, tra contorcimenti e rovelli interiori, danno le dimissioni dai premi, ma non lo fanno con convinzione, ci ripensano, le ritirano. Polemiche ve ne sono state sempre ma, un tempo, ne erano protagonisti personaggi del calibro di Landolfi, Moravia, Calvino, Pavese. Il Gruppo 63, la neoavanguardia si opponeva al mondo di Premiopoli. E quelli che cercavano di conquistarsi un alloro erano Gadda o Brancati. Oggi il massimo che ci tocca è lo pseudotrionfo di Enzo Siciliano. Roba da far cascare le braccia. I premi non vanno aboliti. Sono un "regalo" che viene fatto a uno scrittore per aiutarlo, per promuoverne la fama. Vanno solo ripensati e ripuliti da editori, scrittori, giurati poco qualificati». Mirella Serri L\ SOCIETÀ' IMR1IA IL PREMIO Manuel Vàzquez Montalbàn Traduzione di Hado Lyria Feltrinelli pp. 252 L 27.000 A destra: Manuel Vàzquez Montalbàn Sanvitale: «Non siamo così grotteschi». Replica Sanguineti: «Tuttavia è necessario fare una grande pulizia»

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