«La mamma di Patrizia sapeva del delitto»

«La mamma di Patrizia sapeva del delitto» Processo Gucci, la Reggiani: chiedevo a tutti di trovarmi l'assassino, ma non ho ordinato l'omicidio «La mamma di Patrizia sapeva del delitto» La maga: cercarono assieme un killer MILANO. Per il suo grande giorno di piccole verità ghiacciate, Patrìzia Reggiani sceglie il verde di Peter Pan. Sarà incidentale, ma ha a che fare con la sua aria da donna bambina che pronuncia (anche) enormità, ma con gli occhioni tranquilli: «In effetti chiedevo a tutti: ma cristo santo non siete capaci di trovarmi un killer che mi faccia fuori questo rompiballe?». Oppure, pulendosi distrattamente le unghie: «Così andai a chiedere al mio avvocato: scusa, ma se lo ammazzo con le mie mani, cosa rischio?». E persino quando arriva al cuore del cuore della sua difesa - «Mai e poi mai ho detto sul serio a quelle canaglie di uccidere Maurizio» - c'è un sorriso pacato sul suo volto, il tono della voce è calmissimo, l'aria è quella di una signora milanese che sorseggia la vita al tavolo del bar Cova, annoiandosi, ma è pronta a dire: «Le pare che mi sarei confidata con la servitù?». Oppure: «No, non vivevo con 60 milioni al mese. Come avrei potuto? Maurizio me ne dava 250». Oppure: «Maurizio era la mia ossessione: beveva, prendeva psicofarmaci». Sta seduta dentro a quel suo scrigno verde, circondata dal nero dell'aula, e dagli sguardi seri di accusa, giudici, avvocati, pubblico, tutti appesi per sei ore al tintinnio della sua voce che sgocciola disamore senza rimpianti, come se si parlasse di un cadavere senza importanza, quello di Mauri "io ducei, steso con due colpì la mattina del 27 marzo 1995. E' imperturbabile anche quando - ore 16,40 - la nemica che l'accusa, l'ex maga Pina Auriemma («la conobbi quando era ancora una donna piacente» e «dopo l'omicidio si rivelò per quello che era: sgradevole, volgare, sboccata») pronuncia il suo dispaccio avvelenato: «Dato il comportamento scorretto della signora Reggiani, voglio dire alla corte che anche sua madre sapeva tutto». Sapeva dell'omicidio. Anzi: «Anni prima loro due avevano tenta- to di trovare un killer per uccidere Gucci, ma non si erano accordate sul prezzo». Patrizia Reggiani la guarda appena, si aggiusta i pantaloni verdi, volta lo sguardo verso il suo difensore, l'avvocato Dedola, e infine sospira, come a dire: che importanza può avere la parola di una donna «sgradevole, volgare, sboccata»? Per ore, e con un puntiglio distratto, ricostruisce i prestiti che le fece, i lavori che le trovò, i conti che le saldò: «Quando veniva a Milano stava in albergo, naturalmente a mie spese». Non dormiva a casa sua? le chiede il pubblico ministero. «No, le mie fighe non volevano». Perché? «La trovavano sciatta». Racconta: «La matti¬ na dell'omicidio, la Auriemma mi telefonò. Ci incontrammo, mi disse: hai visto che bel regalo ti abbiamo fatto? Ora sei libera e sei anche ricca. Le dissi: sei pazza». E la Auriemma? «Mi disse: tutti sanno che cercavi un killer e adesso Gucci è stato ucciso da un killer. Diremo che sei la mandante». Insomma le annunciò il ricatto? «Sì. Mi disse: tu sei la gallina dalle uova d'oro. Noi siamo stufi di fare la fame. Siamo stufi di essere un'appendice di una signora stronza. Perciò adesso dovrai pagare». Non pensò di denunciarla? «No. Perché mi terrorizzò minacciando le mie due fighe. Mi disse: visto che c'è già un morto, potranno essercene tre». Tutto il processo (in fondo) gira proprio qui, intorno al nodo del ricatto e alla sua verosimiglianza. Al nodo delle minacce e alla loro plausibilità. Al rapporto che legava queste due donne (amiche inseparabili per dieci anni) ma opposte di carattere, aspetto, lessico, modi e naturalmente reddito. La Reggiani che dice: «Lo hanno ucciso per ricattarmi». La Auriemma che contraddice: «Lo abbiamo ucciso perché lei ce lo chiese promettendoci 600 milioni». I milioni ci sono eccome. Prima dell'omicidio 150. Versione Reggiani: «Glieli diedi perché li pietiva, era piena di debiti». Versione Auriemma: «Era l'acconto per i killer». E ce ne sono 450 dopo l'omicidio. Versione Reggiani: «Glieli diedi perché avevo paura» Versione Auriemma: «Era la tariffa che concordammo». Ma dove la versione della Reggiani si incrina è nel racconto dell'anno successivo all'omicidio. Lei parla ossessivamente di terrore, di minacce, di dominio pieno e incontrollato. Il pm (però) la incalza: quell'estate però passaste le vacanze insieme. «Sì, in barca a vela». E come mai? «Perché lei voleva controllarmi e io ero obbligata a fingere che eravamo sempre amiche». Lei le telefonava spessissimo. «Mi aveva ordinato di chiamarla un giorno sì e uno no». Era sempre nell'accordo? «Sì». E quando fece il trasloco come mai fu la signora Auriemma a aiutarla? Anche questo era nell'accordo? «Sì, anche questo». Possibile? Davvero la Auriemma - che nelle pause fuma con aria tetra, che mai stacca i suoi occhi neri dalla ex amica, la «lurida bastarda», e soffia e sbuffa - davvero è stata capace di tenerla in pugno riducendola da «signora stronza» e padrona a serva tremante dei suoi ricatti? Una sola volta la Reggiani parla della sua nemica senza disprezzo: «Diventammo amiche perché mi consolò nel periodo peggiore della mia vita, il 1985, l'anno in cui Maurizio mi lasciò». E' in quella pausa che la donna bambina concentra i suoi occhioni sul fantasma dell'uomo che voleva morto: «Lo odiavo - dice pacatissima -. Vederlo morire era la mia ossessione. Ci aveva abbandonato... Lui si dimenticava delle figlie. Era cattivo con loro e con me. Un irresponsabile». E poi: «Certo che ero preoccupata del patrimonio: si era circondato di persone che gli mangiavano i soldi. Lui dilapidava tutto, mentre io dovevo tutelare le figlie». Patrimonio, figlie, disamore: «Mi diceva: adesso sto con una donna alta, bionda, con gli occhi azzurri e che sta tre passi dietro di me. A lui piaceva dirmi questa cosa: tre passi dietro. E' quello che voleva». In quanto a lei: «Saperlo morto mi diede sollievo. Finalmente le figlie potevano andare a mettere i fiori sulla sua tomba. E vederle serene, anche nel dolore, mi rendeva serena». Che a pensarci è una considerazione terribile, specie se pronunciata con la stessa noncuranza con cui dice: «Scusi presidente, dicendo a tutti che volevo un killer, persino al salumiere, le pare che un giorno ne avrei assoldato uno per davvero? Mi guardi negli occhi, presidente». E negli occhi (questo è il cortocircuito) non c'è proprio nulla. Pino Corrias «Mai e poi mai ho ordinato sul serio a quelle canaglie di far fuori Maurizio. Lui era la mia ossessione beveva, prendeva psicofarmaci» «■ili A sinistra, l'ex maga Pina Auriemma, principale accusatrice di Patrizia Reggiani al processo per il delitto Gucci. A destra, due immagini della Reggiani: com'era prima che venisse compiuto il delitto e com'è oggi dopo il carcere

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