L'uomo Plasmon, da Carosello ai lavori forzati per la droga

L'uomo Plasmon, da Carosello ai lavori forzati per la droga Reso famoso dallo sketch dei biscotti negli Anni Sessanta, è detenuto da 15 $fotiì in Egitto L'uomo Plasmon, da Carosello ai lavori forzati per la droga SCHIACCIA?® DA 2 PI EROINA IL CAIRO DAL NOSTRO INVIATO L'ultima lettera è dell'8 maggio. «Cara mammà, ti informo che anche oggi mi sono allenato e la mia forza aumenta. Non riesco a credere a me stesso, ma continuo a superarmi. Devo tornare in Italia fortissimo come lo sono adesso!». Tornare in Italia? Fioravante Palestini, 52 anni a settembre, unico occidentale detenuto in Egitto, una condanna a 25 anni di lavori forzati per traffico di stupefacenti, è dà 15 anni che aspetta di tornare. Sempre a maggio, nella prigione di Abu Zaabèl, ultimo a vederlo è stato il missionario comboniano Lauro Rattin, 72 anni, trentino. «Mi è venuto incontro con tutta la sua disperazione: "Padre Lauro basta, non ce la faccio più, in questo inferno ho già pagato abbastanza, voglio tornare". Lo ascoltavo, lo guardavo, e mi sembrava sempre più grande, grosso, forte. Quasi un metro e novanta, 110 chili di peso e nemmeno un etto di ciccia. Tutto muscoli. L'uomo più fòrte d'Egitto. Aveva scelto bene, la Plasmon...». E' Palestini che ha scelto male, che ha sbagliato vita. Avrebbe potuto continuare con la pubblicità dell'omone che batte il martello sulla colonna di marmo, avrebbe potuto insistere con i Caroselli del biscottino girati sulla spiaggia di Giulianova, il suo paese, riviera adriatica d'Abruzzo. E invece, lui che ha un soprannome da putto, Gabriellino; si è ritrovato a frequentare mafiosi in soggiorno obbligato dalle parti di Teramo, ha cominciato con piccoli traffici e brevi viaggi ed eccolo nei panni del trafficante internazionale di eroina per conto della cosca palermitana di Gaspare Mutolo. Per un paio d'anni va tutto bene, vivere alla grande era sempre stato il suo sogno. Ma arriva il 24 maggio 1983, è sul cargo greco «Alexandros G.», sta navigando dalle coste thailandesi alla Sicilia ed è alla fonda nel Canale di Suez. Controllo della polizia. Cosa c'è in questi 11 cartoni? Ben 233 chili di eroina purissima, roba da record mondiale. «Ma io crédevo di scortare un carico di diamanti da contrabbandare...». Signor Palestini, le sue balle vada a raccontarle altrove. Il pubblico ministero l'aveva sbugiardato: era da un'anno che la Dea, l'antidroga americana, sapeva tutto dei viaggi di Palestini, dei suoi incontri all'Ambassador hotel di Bangkok con il trafficante che in quegli anni trafficava più di tutti, Koh Bak Kin, cinese di Singapore. Di più: Dinitrios Gerounakas, il comandante del cargo, era un'informatore della polizia greca: «Questi mi hanno dato 300 milioni, il doppio della mia tariffa, mi sa che trasportano qualcosa di grosso». Diamanti? Eroina. Arrestato Palestini, arrestati quattro marinai greci. Il pubblico ministero aveva chiesto una condanna esemplare, giusto per allontanare dalle coste egiziane i trafficanti: pena di morte per tutti. La Gòrte Speciale di Ismailiya, gentilmente, aveva preferito 25 anni di condanna ai lavori forzati, per tutti. Come assaggio, per il muscoloso Gabriellino, 18 mesi di isolamento totale. Unico svago un incontro con l'allora giudice istruttore Giovanni Falcone. Palestini, per prote sta, tace. «Ho potuto constatare personalmente - scriverà Falcone al padre - la dramma ticità della condizione carce raria che suo figlio è costretto a subire in Egitto. Purtroppo è già stato condannato ad una pena severa per traffico di stupefacenti ed è problematico che quel Paese accetti una richiesta di estradizione. Le assicuro che continuerò a fare quanto è nelle mie possibilità al riguardo». Come è andata si sa: sono passati 15 anni, Falcone non c'è più e Palestini è ancora qui, con la sua casacca blu da condannato ai lavori forzati, le giornate passate a sollevare i pesi, piegamenti, flessioni, allenamenti. Per non impazzire. «Padre Lauro, mi alleno per non dimenticarmi chi ero. Io, il simbolo della forza, l'uomo Plasmon, a questo inferno devo resistere!». Abu Zaabel è a un'ora dal Cairo, oltre l'aeroporto, tra una striscia di deserto e il canale di Suez. Il paese può contare su una vecchia base militare bombardata dagli israeliani nel '72 e abbandonata lì sotto la sabbia, il cimitero, il manicomio, il «Carcere di punizione per condannati ai lavori forzati». Che allegria. Le mura sono circondate da militari stanchi, tutti con un rametto in mano per tener lontani gli insetti, qualcuno appisolato su un cavallo. «Si può parlare con il direttore?». Primo posto di blocco, controllo documenti, perquisizione, avanti prego. Il carcere è una città, un grande viale di polvere che finisce in un secondo portone di ferro arrugginito. E c'è la ressa, qui. Una folla dolente di vecchi e bambini, mamme e spose, carichi di sacchi di riso e di lenticchie, meloni che sudano nei sacchetti di plastica, cipolle, bottiglie d'acqua, di tutto. Attorno, in un terrificante puzzo di merda e zolfo, volano mosche grandi come fagioli. Il termometro segna 49 gradi. Dalla polvere del viale arveloce riva un camion azzurro. Scendono tre ufficiali vestiti di bianco e a colpi di frustino mettono in fila 48 tipi con tuta verde stinto, tutti con un foglietto in mano. L'interprete osa la domanda, «Ma siete guardie o ladri»? Risponde una faccia con la cicatrice sulla fronte, un'altra sotto lo zigomo sinistro e una terza sul mento: «Come ti permetti, siamo guardie!». Chissà la faccia dei ladri. «Palestini si comporta bene», dice subito il signor Amr, diffidente direttore di questo carcere per 6 mila condannati, un omino tutto scuro, sigaro in bocca. «E' un gentleman - ag¬ giunge il colonnello Ala - a me ha insegnato l'italiano: ciao, come stai?, bene». Si allena cinque ore al giorno e non dà problemi, spiega il direttore. «Nell'80 hanno abolito i veri lavori forzati perché i più deboli morivano. Peccato. Prima andavano alla Montagna Gialla a scavare lo zolfo e tornavano cotti. Ora non fanno niente e litigano». Quindici anni qua dentro, per Palestini. Ne mancano altri dieci, ma sa che per legge e per buona condotta cinque verranno condonati. «Uscirà il 24 maggio 2003», dice Padre Lauro. «A meno che, e sarebbe l'ora, in Italia qualcuno si accorgesse di questo nostro concittadino. Sarebbe proprio l'ora». Minuscolo e frenetico, Padre Lauro abita all'Ospedale italiano del Cairo: fondato àéì 1901, dice la lapide, con i fondi della Regina Elena e del Circolo del Risotto. In 15 anni è andato a trovare Palestini 4299 volte. Tiene i rapporti con la famiglia, porta pacchi di cibo («gli danno lenticchie, sempre lenticchie»), lo conforta, qualche volta l'ha pure illuso come al primo incontro: «Vedrai, adesso smuoviamo le acque e tornerai in Italia a scontare la tua pena». Era il 1985. Padre Gabriele s'inventa caritatevole avvocato difensore. «I greci arrestati e condannati con lui dopo qualche anno sonò tornati a casa. Atene si è mossa, Roma mai...». Muoversi per un trafficante di droga, per uno che si porta a spasso 233 chili di eroina, per uno che lavora per le cosche di Cosa nostra? Padre Lauro, lei ha lasciato l'Italia nel 1947... «Io non dico di liberarlo, me he guardo bene, e tanto ih Italia, è sotto processo per quelle stòrie lì e finirebbe ancora in galera. E' che qui io solo sò in quali condizioni vive. In una cella di 8 metri per 5 ora stanno in 72 e quando è andata dì lusso erano in 35. Dormono per terra, uno appiccicato all'altro, e meno male che con Palestini sono stati così cortesi da lasciare che si costruisse una specie di supporto di cemento per buttar sopra un ]ia- gliericcio». Padre Lauro giura: «E' cambiato, è un altro, sono sicuro che dopo questa tortura si comporterà bene. A me l'ha detto: ''Fossi rimasto libero magari mi avrebbero ammazzato. Ma ora, dopo 15 anni, basta, voglio tornare a casa, voglio tornare su una barca a pescare, vedere mia figlia, mia madre, mia sorella"». A Giulianova sono disperati quanto lui. Quando l'avevano arrestato, Gabriellino aveva $7'anni. «Noi non immaginavamo un bel nulla», dice Filoména, la sorèlla. Da quando aveva compiuto 18 anni Gabriellino si faceva gli affari e la vita sua. D'inverno in Germania, buttafuori nelle discoteche. D'estate a casa, a controllare le barche al Circolo nautico. Una figlia nata da un'avventura in Germania nel 1973. Amicizie strane? «Mai saputo nulla, con noi è sempre stato riservatissimo». Vizi? Uno sì, il gioco d'azzardo. Passioni? I suoi muscoli. Un omone che si ritrova nella pubblicità della Plasmon. «Ma a noi non aveva detto niente, l'abÈìàino scoperto per caso», racconta Leonida, la madre. Era la. fine degli Anni 60, e Gabriellino in Riviera diventa Uba piccola star. Lo ingaggiano anche per i Caroselli della Brillantina Linetti. E' nella parte del cattivo, il ladro che ruba la valigia, ma l'infallibile Cesare Polacco, l'ispettore Rock, lo becca subito. Premonizione? , Quindici anni sono tanti. Lettere a tre Presidenti della Repubblica. A 18 ministri. Perfino al Papa. Nessuna risposta, se non di circostanza. «Sólo il giudice Falcone ci è stato sempre vicinò - ricorda la sorella -.Aveva capitp che boi non c'entriamo nulla, che nói siano i parenti di uno che ha sbagliato ed.è giusto che paghi. Quando l'hanno ammazzato, povero Falcone, ho capito che anche la nostra speranza era morta: ho pianto due volte. Gabriellino è là da 15 anni, mio padre ci è morto di crepacuore, mia madre non si può muovere e da più di un anno non va a trovarlo, io da più di tre. Non abbiamo più né poldi né forze. Ci è rimasto solo quél sant'uomo di Padre Lauro...». Che dal Cairo, come un trottolino, si muove tra carcere e l'ambasciata italiana sollecitando, insistendo, ricordando. «Questo è .un caso di umanità. E' uno che si è goduto la vita, lo sò. E' uno che ha sbagliato e paga. Dopo 15 anni non può saldare il conto in Italia?». E' che le autorità egiziane non si smuovono né si commuovono, e quelle italiane pure. Un trattato di estradizione non esiste. Sussidio di 700 mila lire all'anno dall'ambasciata e basta. «A me l'hanno detto un sacco di volte - scatta Padre Lauro -: "Ma perche il vostro Presidente, che è tanto amico del nostro, non gli fa una telefonata?". Scalfaro è venuto qui nel'96, ha visto Mubarak e non gli ha detto niente. Nello stesso carcere c'èrano i greci e ci sono stati francési e inglesi: Papandreu, Major e Mitterrand si sono mossi e quelli sono tornati a casa...». Povero e tenero Padre Lauro, rimasto solo in una battaglia disperata. Il 9 settembre, pròssimo incontro, festeggerà i 52 anni di Palestini e la sua visita numero 300. Già s'è lo immagina arrivare nel recinto di Abu Zaabel, sotto la tettoia di zinco, seduti sulla sàbbia, la tuta blu che schiaccia i muscoli, mosche, tanfo, altri detenuti e parenti attorno. «Padre Lauro, ma quando finisce la mia tortura?». Giovanni Cerruti (Ha collaborato Ibrahìm Refat) Dopo la pubblicità cominciò a lavorare per le cosche siciliane Fu catturato nell'83 su una nave mentre rientrava dalla Thailandia In cella si tiene in allenamento sollevando pesi. Il frate che lo assiste: «Dopo Falcone nessuno si è più interessato al suo inferno» i * «£— **ih 1 «w** ******* In alto, un'immagine dello sketch della Plasmon. A fianco, Fioravante Palestini. A destra, una lettera di Falcone