Tangenti, si va verso la commissione di Alberto Rapisarda

Tangenti, si va verso la commissione Marini: depenalizziatìio il finanziamento ai partiti. Scalfaro: servono cittadini rispettosi delle leggi Tangenti, si va verso la commissione Ma D'Alema pone le condizioni: nessuno giudichi i magistrati ROMA. E' probabile che si faccia la commissione parlamentare che dovrà indagare sulla corruzione politica. La decisione sarà messa ai voti alla Camera il 23 luglio, dopo che il governo Prodi avrà incassato la fiducia anche di Rifondazione comunista («fiducia critica», la definisce Bertinotti). La commissione nascerà non tanto perché la chiede da tempo Berlusconi (con l'obiettivo di arrivare all'amnistia e a «processare» il Pool milanese), quanto perché la vogliono gli eredi della defunta De. Che sperano di rivalutare l'immagine politica del partito dalle cui macerie sono emersi i popolari di Marini, assieme ai Ccd di Casini e ai postandreottiani di Dini. I dimani, all'interno della maggioranza, hanno svolto allo scoperto il compito di guastatori per aprire una falla nei reticolati delle resistenze a sinistra, affiancati dai neosocialisti di Boselli (che hanno un interesse simile a quello dei popolari). Mentre Franco Marini, segretario del Ppi, parlava riservatamente con Silvio Berlusconi per vedere su che basi realistiche la commissione avrebbe potuto nascere. Di fatto, a quanto si è capito, la scorsa settimana c'è stato un esplicito impegno di Marini con Berlusconi a favore della commissione di inchiesta. E ci deve essere stato un incontro tra-la speranza di Berlusconi di ottenere un provvedimento di amnistia per i reati di corruzione e il desiderio dei popolari di ottenere la depenalizzazione del reato di illecito finanziamento dei partiti. Guarda caso, proprio ieri sera Marini ha rilanciato questa richiesta, con particolare riferimento alle conseguenze penali per gli amministratori dei partiti. Avendo in mente la sorte di Severino Citaristi, già amministratore della De, coinvolto in un centinaio di procedimenti penali. Con questa premessa, diventava arduo per D'Alema rifiutare la commissione, come una parte della sinistra chiedeva e continua a chiedere. Così, il segretario dei democratici di sinistra ha scelto di porre condizioni ferree per garantire che la commissione non finisca per giudicare i giudici, col proposito di cogliere l'occasione per «riannodare il filo del dialogo con il Polo». I segretari della maggioranza concordano, inoltre, nel chiedere a Prodi di affrontare il problema della modernizzazione della giustizia. «Non vogliamo lasciare questo tema all'opposizione», spiegava Manconi, coordinatore dei Verdi. Secco, invece, il no di Di Pietro, interpellato per telefono. «Non permetteremo a nessuno di confondere i giudici con i ladri», aveva scritto nella sua rubrica sul settimanale «Oggi». Di fatto, stando a quel che si è in¬ travisto ieri, la commissione di indagine sulla corruzione potrebbe nascere dalla somma di interessi (o speranze anche se non coincidenti) di Berlusconi, Marmi, D'Alema. Discorso a parte per Romano Prodi che segue con diffidenza questa fase. Il vicesegretario prodiano del Ppi, Enrico Letta, dà voce a questi timori: «La commissione può essere foriera di disgregazione. E' una bomba a orologeria che può scoppiare quando meno lo si aspetta. Non ci vedo il riannodarsi del filo istituzionale». Si vedrà la prossima settimana se il Polo accetterà veramente le condizioni che hanno voluto porre i diessini, col consenso dei segretari dei partiti di maggioranza (Bertinotti compreso) riunitisi ieri: 1) durata dell'inchiesta di sei-otto mesi per non interferire con l'elezione del futuro presidente della Repubblica (maggio 1999). Ma non si esclude di sospendere i lavori della commissione in quel periodo per riprenderli dopo l'elezione del nuovo capo dello Stato. 2) Le indagini della commissione non potranno interferire con i procedimenti giudiziari in corso né possono essere dirette a sindacare gli atti della magistratura nell'accertamento delle responsabilità personali. 3) Non potranno far parte della commissione i parlamentari che hanno conti in sospeso con la giustizia. ! Berlusconi ha subito risposto con atteggiamento conciliante, più disponibile dei suoi stessi collaboratori. Come se avesse dato ascolto all'esortazione che Scalfaro ha inviato da Sarajevo, dove visitava il contingente militare italiano: «Questa nostra patria ha tanto bisogno di cittadini attenti, puntuali e rispettosi delle leggi». Sia come sia, Berlusconi ha assicurato che non ha mai pensato alla! commissione «con spirito di rivalsa contro i magistrati», né a far parte della commissione («E' ancne una questione di buon gusto»). jFini e Casini, premurosi, si sono prodigati anche loro per non creare ostacoli. Casini: «Non si debbono fare le pulci ai magistrati». Fini: «La commissione non deve servire a dare un colpo di spugna al passato». Alberto Rapisarda Il presidente Scalfaro .

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