D'Alema fra i due fuochi

D'Alema fra i due fuochi D'Alema fra i due fuochi Sinistra e dipietristi: no all'accordo ROMA. «Alla peggio possiamo sempre fare quelto che ha fatto il Polo con la Bicamerale, ,cioè far saltare la commissione». Sono queste le parole che Massimo D'Alema va ripetendo da due giorni. Le ha pronunciate, ieri, al vertice di maggioranza, e, soprattutto le ha ribadite senza sosta con i recalcitranti compagni di partito. Non sono parole che appaiono come un buon viatico per la commissione su Tangentopoli, ma il leader della Quercia le ha dette. Insieme ad altre, come: «Non possiamo non rispondere alle richieste del centro destra, siamo obbligati a comportarci in questo modo, sennò facciamo la figura di quelli che hanno qualcosa da nascondere». Già, le ha dette, D'Alema, queste parole. Con il fine ultimo di rabbonire quanti (e sono tanti, in special modo tra i ds) sono contrari a quell'organismo parlamentare. Sono ostili Fabio Mussi e Pietro Folena, costretti, dai rispettivi ruoli, a fare buon viso a cattivo gioco. La sinistra interna e i comunisti unitari, capeggiati da Fabiano CrucianeUi, non si pongono questi problemi di etichetta e dicono tutto il male che pensano della commissione. Analogo discorso vale per Occhetto e gli ulivisti. Per non parlare poi della cosiddetta base che si è scatenata con fax inneggianti a Di Pietro. Se da Botteghe oscure ci si sposta a Palazzo Chigi, l'aria non cambia. Prodi e Veltroni temono i veleni che potrebbero scaturire da un organismo parlamentare siffatto e le conseguenze nefaste che ne potrebbero derivare sulle elezioni del Presidente della Repubblica. D'Alema (succede al vertice) tenta di coinvolgerli per dare una spintarella alla Commissione, però non ci riesce. «Il governo deve esprimersi e prendere un'iniziativa», dice. Quella che scherzosamente, a Montecitorio, viene già ribattezzata «vice-Bicamerale» potrebbe vedere la luce in questo clima. D'Alema, che prima era contrario e poi favorevole alla commissione, dopo la rivolta del suo partito e le uscite di Di Pietro aveva nuovamente cambiato idea. Quindi, capito che non era opportuno mutare rotta per la terza volta, è rimasto attestato sul sì. Ma è un sì condizionato, anche se il segretario diessino, al vertice, dice che «bisogna riannodare il filo del dialogo con il centro destra». Il quadro in cui si svolge il summit della maggioranza è questo e il centro sinistra ha la prova della sua impotenza sulla giustizia. Ogni tanto, dalla stanza dove segretari e capigruppo sono riuniti, si sentono delle urla. D'Alema tenta di convincere il socialista Boselli a proporre al Polo una commissione «monca»: «Capisco - dice il leader della Quercia - le vostre ragioni, ma la maggioranza deve avere una posizione comune, altrimenti la commissione si ritorce! contro l'intero sistema politicò». Boselli si urta: «Su questo non c'è accordo di maggioranza - replica - tant'è vero che il governo non ha espresso un parere e si è rimesso al Parlamento. Inoltre vorrei ricordare che ci sono 11 commissioni d'inchiesta e nessuna con limiti». Ribatte D'Alema: «Ma questa commissione non è identica alle altre. Questa riguarda la classe politica, quindi anche noi. Il sistema che idaga su su se stesso? Il rischio è di ledere lo Stato di diritto». Ad un certo punto interviene Marini, che media, ma che non risparmia frecciate all'indirizzo del leader della Quercia. «Dob- biamo essere uniti - esordisce il segretario ppi - tuttavia capisco i socialisti. E' il momento di riflettere sulla paralisi dell'Ulivo sulla giustizia. Vi ricordate? A gennaio del '98 avevamo fatto un accordo sulla depenalizzazione del finanziamento illecito, ma il pds si sfilò. Se avessimo preso quel provvedimento avremmo tolto veleni al dibattito politico. Dobbiamo chiudere questa partita della depenalizzazione, anche per sdrammatizzare la situazione». Ma chiudere alcunché, in un clima simile, appare assai difficile. La riunione va avanti, con siparietti come questo: «C'è il rischio che la commissione si sovrapponga al lavoro dei magistrati. Sono dubbi che condivide anche Flick», dice Mussi; «Si comporti come ha fatto in questi due anni: continui a star zitto sui rapporti tra politica e magistratura», replica Boselli Così va in scena la «paralisi» evocata da Marini, con esiti anche comici, come quando si escogita un «bimestre bianco» in cui la commissione dovreb be essere sospesa onde evitare che i veleni di Tangentopoli in quinino l'elezione del.Capo dello Stato, come se mese più, me se meno, facesse la differenza. Maria Teresa Meli

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