Il Mondiale dei colori vinto dalle facce dipinte

Il Mondiale dei colori vinto dalle facce dipinte Le tribù dei tifosi hanno fatto assomigliare gli stadi di Francia a una grande riserva indiana Il Mondiale dei colori vinto dalle facce dipinte IL CASO L'ALTRO SHOW PEL CALCIO TUTTI d'accordo: Francia '98 non è stato un grande spettacolo calcistico. Anche gli esteti del gioco, però, gli riconoscono un primato che di tecnico non ha nulla: abbiamo assistito al Mondiale più allegro e colorato di sempre. Hooligans inglesi e naziskin tedeschi a parte, dentro e fuori i dieci stadi francesi, il pallone è stato il pretesto per una festa colossale che ha unito tifosi di tutto il mondo e ha lanciato definitivamente una moda: il volto dipinto che diventa la bandiera della propria nazione. Fino a un mese fa eravamo rimasti a esibizioni estemporanee, a colorazioni ruspanti colte qua e là nei Mondiali di Italia '90 e Usa '94, alle Olimpiadi di Atlanta '96. Francia '98 ha prodotto un fenomeno impossibile da snobbare: miliardi di persone hanno visto le partite in tv e spesso il migliore in campo è stato il pubblico, vivace, gioioso, inquadratissimo dalle telecamere. In primo piano, belle ragazze, ombelichi scoperti, copricapi strampalati, ma soprattutto facce. Facce con gli scacchi biancorossi croati; con i tricolori di Francia, Messico e Germania; l'arancione olandese; gli arcobaleni sudafricani e giamaicani. Macchie sulle guance e sulla fronte, ma anche lavori ben più complicati a coprire l'intero viso. Trucchi fai-da-te completati davanti allo specchio di casa, ma anche maquillage pagati qualche decina di franchi agli artisti di strada, pronti a cavalcare la moda. H tocco decisivo per trasformare gli stadi di Francia in qualcosa di simile a una riserva indiana di visi colorati lo ha però dato uno degli sponsor dell'evento, che ha pensato bene di distiibuire agli spettatori che si apprestavano a entrare nello stadio una tavolozza di cartone con i colori delle squadre in campo, pronti per essere spalmati. La cosa, ve ne siete accorti tutti, ha funzionato alla grande. E più il Mondiale avanzava, più le facce colorate prendevano il posto di bandiere e striscioni. E più le partite erano noiose (ce ne sono state tante, purtroppo), più la tv divagava sulla folla variopinta che cantava, ballava, faceva la ola. Insomma, se la spassava comunque. Confessiamolo: quanti di noi che amiamo il calcio hanno chiuso gli occhi, si sono ricordati delle ben più severe domeniche pallonare di casa nostra e hanno espresso il desiderio che questa moda «mondiale» possa contagiare anche il tifo della serie A? Sarebbe bello, ma è vietato illudersi. Anche perché, occorre dirlo subito, dal Mondiale al campionato cambiano - e di molto - la tipologia degli spettatori e il contorno. In Francia, piena estate e clima di festa, per vedere una partita, tra viaggio e caro-biglietti, serviva un bel gruzzolo. Di ultras, nemmeno l'ombra. Di fumogeni e tamburi, tanto familiari nelle nostre curve, neppure. Il più scettico sull'importazione del fenomeno è proprio il presidente dell'associazione che riunisce i tifosi dei club italiani. «Il Mondiale è un'altra cosa - dice Claudio Cimnaghi -. Identificarsi sotto un'unica bandiera e, perché no, dipingersela in faccia, può venire spontaneo. A quanto mi risulta, nei nostri stadi non capita. Ma visto quel che è successo in Francia, ne parleremo nella nostra prossima assemblea». Susanna Wermelinger, responsabile immagine dell'Inter, coltiva invece la speranza: «Grazie al pubblico di Francia '98, per tv ci siamo fatti un'overdose di allegria. Colori, musica, danze, simpatia: è anche con queste armi che si possono combattere e isolare i pochi imbecilli che turbano le nostre domeniche calcistiche. Noi, peraltro, tra le aziende licenziatarie ne abbiamo già una che propone trucchi, parrucche e cappelli strani. A San Siro qualcosa si è cominciato a vedere nella scorsa stagione. Speriamo che l'esempio mondiale serva: negli stadi, di solito, si ride troppo poco». «Il tifoso italiano ha un modo tutto suo di andare a vedere il calcio - aggiunge Roberto Bettega, vicepresidente della Juventus -. Non soltanto non ha mai pensato di dipingersi il volto con i colori della sua squadra, ma nemmeno ne indossa la maglia, come invece fanno regolarmente in Inghilterra e nel Nord Europa. Ciò non toghe, però, che le cose possano cambiare. Anche il tifo si evolve e io personalmente sono favorevolissimo a ciò che può portare sulle gradinate un chma più sereno e più simpatico e diminuire le tensioni. Non dimentichiamo però una cosa: noi giochiamo soprattutto in autunno e inverno quando, più che a dipingersi la faccia, si pensa a coprirsela con un passamontagna...». Già. Appuntamento, allora, agli Europei 2000. Le tribù del calcio, statene certi, in Belgio e Olanda torneranno a colorarci l'estate. Roberto Condio ROMA. Il tricolore stampato in faccia, la bandiera che diventa maschera, i capelli eccentrici... Professoressa Magli, lei come antropologa che cosa vede in questo nuovo modo di presentarsi delle tribù del calcio? «Che di nostro, in questi anni grigi, ci è rimasto soltanto il corpo. Dipingere i simboli direttamente sulla pelle è, per gli uomini del Duemila, una forma di regressione, ma anche un segnale forte: più forte del vestito e della bandiera. Il Mondiale ci regala il gusto del territorio, dell'appartenenza, delle regole alle quali ci si assoggetta volontariamente, con la soddisfazione di vederle trionfare». Eppure la regressione, per di più allo stato tribale, dovrebbe essere qualcosa che gli adulti nascondono... «E perché mai? Io la vedo come un segnale che la gente è ancora viva. L'Europa è morta, si parla solo di moneta. Anche la moda si arrampica sugli specchi per far vedere che esiste. Le facce colorate mi sembrano segnali che l'umanità, parlo dell'Europa, non si è rassegnata. Almeno quella che segue il calcio. Non avendo nulla che ci ispira, regrediamo a un'epoca in cui c'era qualcosa. L'uomo, spogliato di valori, ritrova la partecipazione primaria del corpo. Esistono dei significati e dei bisogni incancellabili, che trovano il Sui volti le bandiere delle nazioni E poi copricapi bizzarri, macchie sulle guance e sulle fronti «Uno stile che sarà difficile importare nel nostro campionato E nei nostri stadi si ride poco» Ida Magli «In questi anni grigi è rimasto di nostro soltanto il corpo Ci hanno regalato anche il gusto del territorio» A fianco un tifoso americanoa destra una supportar brasiliana

Persone citate: Claudio Cimnaghi, Ida Magli, Roberto Bettega, Roberto Condio, Susanna Wermelinger