Fondazioni come l'idra ma un Ercole non c'è di Alfredo Recanatesi

Fondazioni come l'idra ma un Ercole non c'è Fondazioni come l'idra ma un Ercole non c'è E fondazioni bancarie sono come l'idra, quel mostro dalle molte teste che infestava le paludi di Lerna. Secondo la fantasia mitologica, per ogni testa che le si riusciva a tagliare un'altra ne rinasceva; ogni colpo che andava a segno, così, finiva per rafforzarla. Alla fine fu uccisa da Ercole, ma un Ercole che possa aver ragione delle fondazioni bancarie ancora non si vede. Eppure sono circa dieci anni che le fondazioni costituiscono un problema, da quando con la legge Amato sulle banche l'attività bancaria delle Gasse di risparmio e di alcuni istituti di ereditò fu scorporata dagli enti proprietari, costituiti appunto in forma di fondazioni, con l'idea che queste le cedessero per darsi ad attività più redditizie e di più consistente e diretta utilità per le comunità delle quali sono - a loro dire, più che in forza del diritto - patrimonio. L'opportunità di vendere, con forti agevolazioni fiscali, banche che rendevano poco o nulla e che consentivano attività sociali relativamente marginali, come il dono di qualche autoambulanza al1 anno o il restauro di una cappella nella cattedrale cittadina, non fu affatto colta malgrado le pressioni in questo senso che in vario modo e con vari strumenti tutti i governi che da allora si sono succeduti hanno esercitato. Solo da quando si è fatta più concreta la partecipazione dell'Italia alla moneta unica europea le fondazioni hanno cominciato a muoversi, ma solo per difendere la loro posizione nel settore bancario ed, addirittura, per rafforzarla. Nella prospettiva di una maggiore concorrenza, infatti, hanno cominciato a^concen. trarsi, e, concentrandosi, han. no ampliato il loro controllo "\ oltre f coM^g^s^pa»* niente estési, delle'"'oàhch'è pubbliche. Già avemmo occasione di rilevare, ad esempio, come il Credito Italiano, una delle banche più dinamiche totalmente in mano a capitali privati, dopo la concentrazione con Unicredito si trovi ora le fondazioni come maggiori azionisti. E ancora non basta. Le fondazioni hanno cominciato ad investire in imprese industriali e di servizi; anche quotate in borsa. Investimenti finanziari, dicevano all'inizio. Ma ora si sono affacciate nei «noccioli duri» delle privatizzazioni, e non mancano quelle che puntano ancora più in alto, ossia al sindacato di controllo di grandi gruppi. Sono presenze distorsive perché gli amministratori delle fondazioni non rispondono a nessuno ed, avendo l'unico vincolo di preservare il patrimonio, hanno di fatto licenza di investire ad un rendimento medio inferiore a quello che il patrimonio potrebbe dare. In altre parole, I sono affrancati da vincoli che, I invece, sono obbligati a rispet- tare società finanziarie che rispondono ad azionisti, investitori istituzionali, gestori/fondi comuni, insomma tutti gli altri «normali» operatori che si confrontano sul mercato finanziario. La legge sulle fondazioni : che il Parlamento si accinge a varare non pone rimedio a questa distorsione; anzi, per alcuni aspetti ne consente un aggravamento. Lo ha detto anche Marco Onado, il commissario Consob ascoltato sulla questione dalla commissione Finanze e Tesoro del Senato sul finire dello scorso maggio: «La norma in esame rafforza l'ambiguità di una istituzione . che formalmente ha le caratte^ ristiche di un ente che persegue finalità di utilità sociale, e nel contempo partecipa al capitale di imprese commerciali amministrando direttamente . le partecipazioni». Osserva,, quindi, Onado: «Non giova al mercato che ci siano soggetti che operano sotto la. frontiera efficiente della combinazione rischio/rendimento». : Ma,' né la maggioranza, né l'opposizione sembrano intenr zionate a svolgere la funzione di Ercole nell'uccidere questa f idra, o almeno nel contenente questo anomalo potere. All'interno del sistema pplitico/ cbnV* ben poche e personalissime éc- , cezioni, le fondazioni in buona sostanza stanno bene cost;^.Vi po' perché - qualcuno a mezza bocca." zandoì finirebbe che'à;.^ompn rèbberG>4^:-p^)!^«^|^ Un po' perché - e una co tura, ma forse si avvicina ; maggiormente al vero - al potere politico può non dispiacere affattp che questi enti di nessuno, che non devono rispondere a nessuno, continuino a sopravvivere con il loro consistente patrimonio (siamo sull'ordine di grandezza dei 50.000 miliardi), e con il saldo controllo di una considerevole quota del sistema creditizio nazionale. Sono sempre state centri di potere non da poco, ed ora quel potere sta addirittura aumentando: perché dunque disfarsene? Perché disperderlo? Delle fondazioni, delle privatizzazioni, del mercato, a parole, si può dire ciò che si vuole se e quando si tratti di apparire à la page. Ma la realtà è e rimane un'altra cosa. Con buona pace, ovviamente, delle finalità sociali, dei principi di mercato, della efficienza del sistema bancario, della diffusione dell'azionariato, della crescita della borsa. Alfredo Recanatesi esj

Persone citate: Marco Onado, Onado

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