Il Colle spera ancora «Le riforme aspettano» di Renato Rizzo
Il Colle spera ancora «Le riforme aspettano» Il Colle spera ancora «Le riforme aspettano» «Scusi, possiamo spegnere le cicale?». Sorride appena, Scalfaro, alla proposta scherzosa di un collaboratore mentre un incessante frinire fa da sottofondo al vertice che riunisce parte dello staff presidenziale. Nella tenuta di Castelporziano la domenica pomeriggio ha il gusto della rabbia: ancora troppo vicino «l'inconcepibile» attacco di Antonio Di Pietro, comunque esorcizzato dai consiglieri con un «è andata bene, è rimasto isolato»; e troppo imminenti certe scadenze giudiziarie, «di quelle che, purtroppo, ritmano la vita stessa del Paese». Il riferimento è esplicito: la sentenza, attesa tra poche ore, del processo Ali Iberian nel quale Silvio Berlusconi deve rispondere di finanziamento illecito al Psi di Craxi. Altro che cicale: sono ben più assillanti i problemi che il Capo dello Stato vorrebbe spegnere in questa giornata di discussioni aperte sulla richiesta di condanna per il leader di Forza Italia e sulla «volgarità» dell'atteggiamento dell'ex pm, ulti- mo capitolo d'una storia senza feeling tra due magistrati che hanno lasciato la toga per la politica. E che, sia della toga, sia della politica, hanno concezioni diametralmente opposte, mdùnenticabile il loro botta-risposta, indiretto ed astioso, a fine '97: il Presidente nel messaggio augurale agli italiani aveva stigmatizzato l'ormai famigerato «tintinnare di manette» e bacchettato quel giudice «un po' rozzo che intima: "0 parli o rimani dentro"». Di Pietro chiese, attraverso una lettera ad un giornale, se il Quirinale «ce l'avesse con lui». Dal Colle scese soltanto un silenzio gelido. Vicende mai sopite che oggi riemergono, ma nella calura di Castelporziano la discussione più preoccupata riguarda l'eterno, inestricabile nodo delle riforme che, a grappolo, porta con sé altri guasti e focolai di polemica: «L'ho detto e ripetuto a tutti, ma in particolare a D'Alema e Fini che sono i più giovani e rappresentano il futuro del Paese: volete che, tra vent'anni, stiamo ancora qui a parlare di que¬ sto? Fatele queste benedette riforme, vi siete impegnati con gli elettori. Bastano le leggi ordinarie anche se è giusto ricordare che la Bicamerale non è ancora stata cancellata da nessuna norma ed è lì, ad eventuale disposizione». Scrolla la testa, Scalfaro, guardando alla mancata risistemazione dell'ordinamento giudiziario. Questo suo invito a «fare qualcosa in fretta» nasce da una considerazione che è chiara eco a certi proclami di Forza Italia: «La giustizia è come il fato, ineluttabile. Oggi, di fronte ad una sentenza di primo grado si protesta; domani, dopo l'appello, si potrà urlare. E dopodomani, quando si sarà espressa la Cassazione, che cosa succederà? La rivoluzione?». Che sconfitta, osserva il Presidente con i suoi collaboratori, aver abbandonato «alla prima tappa», aver mandato tutto a monte a causa della «vicenda giudiziaria di Berlusconi e del gruppo di Cossiga». Se parla del suo predecessore il Capo dello Stato non riesce ad evitare una piega amara alla bocca. Vecchi contrasti in stile De: sincronizzati, come afferma qualcuno, sulla categoria dell'eterno. E così è impossibile dimenticare che Scalfaro, nell'aprile '92, a un mese dall'elezione, dichiarò a proposito dell'amico-nemico: «Quando se ne andrà sarà sempre troppo tardi». 0 che, nel giorno in cui l'attuale Senatore a vita si dimise dalla De, lui ne chiosò l'addio con queste parole: «Non mi stupirei di vederlo tornare: questo è un partito di uomini che credono nella resurrezione». Cossiga è tornato, e con lui le ruggini che il Presidente sottolinea proprio nelle ore in cui l'ex modulino del Colle gli imputa- di rivelare «verità tardive». Divergenze di opinioni che si aprono sulla diversa lettura del caso-Moro e si estendono all'eventualità di un'amnistia: lui, nota Scalfaro aprendosi con i suoi consiglieri, è uno dei fautori di questo provvedimento, bisognerebbe, però, vedere che cosa ne pensa la gente «quella che, magari, sarebbe d'accordo nel metter fuori dal carcere uno che ha ucciso e ha già scontato 20 anni, ma che probabilmente sarebbe meno d'accordo se si trattasse di liberare chi si è arricchito con i denari dello Stato». Renato Rizzo Il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro ROMA DALL'INVIATO
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