I post-peones orfani della tv
I post-peones orfani della tv IL PALAZZO I post-peones orfani della tv rifìca? Mica li avvertono se nel giro di una notte, per ragioni ancora un po' misteriose, D'Alema ha cambiato idea sulla commissione Tangentopoli. O se Fini e quei due-tre che gli stanno attorno hanno fatto pace con Berlusconi. Votassero, e zitti. Convincerli, come s'è capito l'altra settimana a Montecitorio, è l'ultimo dei problemi. Ci mancherebbe, adesso, che li consultassero, pure, e magari li convincessero sul Kosovo, la scuola privata, le 35 ore o le famiglie di fatto. Del resto si sono ben guardati dal consultarli sulla Bicamerale o sulla Nato. Schiacciassero, per favore, il loro bel pulsantino senza fuochi di paglia, tipo la ventina di deputati ulivisti che a un paio di giorni dal voltafaccia hanno presentato il loro documentino; o la Mussolini che s'è vanamente mobilitata contro le «prevaricazioni» dei big di An che le hanno cambiato commissione senza nemmeno dirglielo... Un tempo li chiamavano peones. Ora perfino quel glorioso nomignolo Anni Sessanta è caduto in disuso e navigando su Internet si scopre che peones si chiamano l'un l'altro, con ironico disincanto, certi velisti di una categoria considerata particolarmente negletta. Sono scomparsi, oltretutto, i peones della politica, senza che alcuno ne celebrasse la più malinconica elegia; o almeno serbasse la memoria di quell'onorevole De che durante una crisi di governo dovette comprarsi un transistor per seguirne gli sviluppi; o di quell'altro che usava declamare immaginarie liste di governo: «Onorevole Moro, Affari della Presidenza del Consiglio; onorevole Fanfani, Affari esteri; onorevole Rumor, Affari interni; onorevole peone: a fare in e...». E però - paradosso della modernità - non sono mai stati così numerosi come oggi: braccianti anonimi della politica, parlamentari di serie B, abitatori della palude, portatori d'acqua. E ancora sognano, se non un modesto sottosegretaria- port I E I un i to, almeno una presidenza di commissione, e intanto tremano all'idea delle elezioni anticipate. Ancora si chiedono, atterriti, se riusciranno a mantenere la candidatura (con l'assessore regionale che preme). Ma intanto, a Roma, sono invisibili. Perciò non esistono. E quindi, di nuovo (e cortesemente): chi se ne frega dei peonesl Nessuno appare più di loro tagliato fuori dalle trasformazioni della politica. Vere vittime del cambio di scenografia, contano meno, ormai, del cuoco del Cavaliere, Persichini; o dell'autista di Fini, Checchino; o dell'ultimo collaboratore part-time dello staff dalemiano. Logorati dalla crisi più generale del Parlamento; emarginati da una politica sempre più leaderistica; scalzati dal teatrino videocratico; massacrati dal sistema dei media, che sempre più fa coincidere visibilità e sopravvivenza, immagine e vita. Difficile, oltretutto, azzardare che torneranno di moda come un po' son già tornati i vertici, le verifiche, i franchi tiratori, le pause di riflessione e quanto fece da grazioso corredo alla Prima Repubblica. Ci vorrebbe, anche per un sobrio revival, almeno un Costanzo Show. Ma non li invitano. Nell'era del primo piano, per quanto patetici, i post-peones non producono né segni, né sogni, né visioni. Non raccolgono sguardi, né audience, né successo simbolico. Non sono competitivi, mondializzabili, immediati, immateriali. Non performano, non rientrano in strategie di marketing e nulla hanno a che fare con i sondaggi. Non se ne curano, in fondo, neanche i giudici e pure questo vuol dire. Filippo Cec carelli
Persone citate: Berlusconi, Costanzo Show, D'alema, Fanfani, Filippo Cec, Fini, Mussolini, Persichini, Rumor
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