L'ALTRO FENOMENO di Roberto Beccantini

L'ALTRO FENOMENO DALIA PRIMA PAGINA L'ALTRO FENOMENO della sua storia. Mai verdetto fu più legittimo, mai risultato così clamoroso, mai protagonista più meritevole. Zidane, il gatto nero delle tre finali sciupate (una con il Bordeaux, due con la Juventus). Zizou, il campione timido, nato alla periferia di Marsiglia, di sangue algerino prima ancora che blu. Il raffinato simbolo dell'ultima Juve. Quello che, dopo tante battaglie perse, si è ricordato come si vincono le guerre. Espulso contro l'Arabia Saudita, riemerso al cospetto dell'Italia, altalenante con i croati, sapeva di giocarsi tutto in una notte, l'ultima notte. Ha colto l'attimo, ha scalato l'olimpo, ha lasciato tracce indelebili. Zidane e Ronaldo, ecco qua la chiave per entrare nel cuore della partita, e afferrarne i battiti più sinceri. Zidane è tutto, Ronaldo è niente. Ha una caviglia ammaccata e un ginocchio conciato, se possibile, addirittura peggio. Un alone di giallo ne avvolge l'impiego, la squadra lo sbircia senza coltivarne le fregole appassite. Nel primo tempo, non c'è partita. Zidane si maschera da Vieri, o comunque da quell'ariete che tanto manca ai francesi. Angolo di Petit, testa e gol. Angolo di Djorkaeff, testa e gol. Nella finale, la squadra di ALmé Jacquet, un Bearzot perseguitato dai professorini della Sorbona, sciorina il meglio del suo calcio. Pressing, equilibrio fra i reparti, rigore organizzativo, velocità. E' la disarmante facilita con la quale occupa il campo e sequestra gli avversari che impressiona, sintomo palese di una personalità non piovuta dal cielo, ma modellata pezzo dopo pezzo. Il Brasile si gioca addosso e sbaglia tutto: lento, impacciato, letteralmente soverchiato. Deteneva la coppa, e aveva sempre vinto le finali disputate, quattro in tutto. I solisti, questa volta, non riescono a tenere il ritmo dell'orchestra che gli sta di fronte. Che Zagallo molto si agiti, non cambia nulla. La Francia, questa Francia, conosce tutti i trucchi, è seta ma anche roccia, è Zidane ma anche Desailly, Thuram, Deschamps, che Dunga sperona con una scarpata da espulsione. Senza Guivarc'h, o con uno un po' più attrezzato al suo posto, la selegao avrebbe perso di goleada, ben oltre i sospetti di un.rigore.su Ronaldo e la traversa di Denilson. E' bello poter celebrare una sentenza limpida, suffragata dai numeri: sei vittorie (e la più perentoria, proprio in finale), un pareggio (con l'Italia cesaroniana, guarda guarda...); miglior attacco (15 reti), miglior difesa (appena due). Né sarebbe corretto scrivere che gli arbitri ne hanno scortato la marcia. Al contrario. Sono ben tre gli espulsi, due dei quali in frangenti assolutamente topici, Blanc in semifinale, Desailly in finale. La Francia diventa, così, il settimo Paese ad aver conquistato il trofeo più ambito, nella scia di Brasile (4), Italia e Germania (3), Argentina e Uruguay (2), Inghilterra (1). Il fattore campo, sì, è stato importante, se non decisivo, ma sempre entro i limiti di quella cultura sportiva che, almeno da queste parti, riesce a trasformarsi in chiassoso nazionalismo senza ledere i diritti degli ospiti. Non si ricorda a memoria di calciofUo un Brasile più inguardabile di questo, un Ronaldo così poco ser- vito, poco sano e poco ispirato: è, questa, l'altra faccia della medaglia. Zitto zitto, Aimé Jacquet ha costruito un piccolo grande capolavoro, a testimonianza di come, per entrare nella leggenda, sia a volte indispensabile uscire dal ridicolo ghetto degli scienziati o presunti tali. Prima la difesa, poi, all'improvviso, Zidane: ecco le firme in calce a un'impresa che tutta la Francia, da ieri sera, si porta stampata nel cuore e negli occhi. Just Fontaine e Michel Platini ci. andarono vicino. Anche per questo, e anche per loro, la Francia si è arrampicata sul tetto del Mondo. Cameriere, champagne. Roberto Beccantini LA STAMPA"