L'imputato dei sassi «evade» dal convento

L'imputato dei sassi «evade» dal convento Gabriele Furlan aveva ottenuto una deroga agli arresti a casa per poter andare alla funzione L'imputato dei sassi «evade» dal convento Tortona: in chiesa per pochi minuti, ma diserta la messa LA STORIA CONVERSIONE MISTERIOSA TORTONA DAL NOSTRO INVIATO «Signori giudici, vorrei il permesso per assistere alia santa Messa». Permesso accordato, ma alla fine lui alla funzione non c'è andato. 0 meglio: è salito fino alla chiesa dei Cappuccini - come stabilito - ma poi è ritornato indietro, e si è perso per le strade strette del centro storico di Tortona. Sono scivolate via così ieri pomeriggio le prime ore di libertà per Gabriele Furlan, uno degli imputati per l'onncidio di Maria Letizia Berdini, la giovane donna uccisa da un sasso lanciato da un cavalcavia nel dicembre del '96. Libertà per modo di dire, perché la Corte d'Assise che lo sta processando assieme ai suoi fratelli gli aveva concesso un permesso limitato alla durata della Messa (che comincia alle 18 ogni sabato) più mezz'ora per raggiungere il convento dei frati Cappuccini, sulla collina appena sopra Tortona, e mezz'ora per tornare a casa. Niente di più, perché lui è attualmente agli arresti domiciliari, perciò non può nemmeno usare dall'alloggio in cui abita la sua famiglia, alla periferia della città. Nemmeno per una boccata d'aria in cortile, senza il permesso del giudice, e senza il nulla osta del pubblico ministero. Ma i magistrati hanno voluto accogliere la sua richiesta. L'avvocatessa Patrizia Tuis, difensore di Gabriele, si era sentita rispondere un «andare a Messa gli farà bene..» da Maurizio Laudi, procuratore aggiunto di Torino incaricato di portare avanti l'accusa dopo l'uscita di scena di Aldo Cuva. Quindi, nessun problema: se il ragazzo manifestava l'esigenza di un conforto spirituale, perché non accontentarlo? La stessa risposta era stata data al difensore di Paolo Bertocco, cugino dei Furlan e coimputato per il delitto del cavalcavia. Da un mese, ogni domenica può lasciare la villetta dei suoi in cui si trova agli arresti domiciliari, attraversare la strada ed entrare nella piccola chiesa di Torregarofoli. Una chiesa che, manco a farlo apposta, è a meno di un chilometro dal luogo del delitto. Invece Gabriele Furlan ha chiesto di poter andare dai Cappuccini. E ieri ha effettivamente fatto una scappata tra i cipressi che circondano il convento, è entrato in chiesa e ne è quasi subito uscito. Grande e grosso, in jeans e polo blu, la testa china. Il tempo per una preghiera, si immagina. Non quello per la funzione, che è iniziata quando lui già se ne era andato. «Noi non lo abbiamo visto», dicono i due frati a fine Messa, mentre una ventina di fedeli - donne anziane, per lo più - se ne tornano a casa. «Ma non lo conosciamo nemmeno, qui non lo abbiamo mai visto. Un'avvocatessa ci aveva te¬ lefonato per chiederci se un certo Furlan poteva venire sabato alle 18, e non abbiamo avuto niente da obbiettare, naturalmente». Qualcuno invece obbietta, in città. Nel passeggio sotto i portici della via Emilia, c'è chi storce il naso al pensiero di poter incrociare un imputato di omicidio «e che omicidio!» -, e c'è chi mostra stupore all'improvvisa necessità spirituale di «uno che in chiesa nessuno lo ha mai visto, qui a Tortona». Ma visto che a nessuno si può negare questo desiderio (e visto che ancora di imputato si tratta), c'è anche chi non ci vede niente di male, nel fatto che chieda e ottenga di entrare in una chiesa. Aggiungendo magari, con una punta di perfidia, che forse questo «servirà a fargli confessare le sue malefatte». Se le ha confessate, nessuno lo sa. Al paragrafo confessioni, nella storia di Gabriele Furlan, al mo- mento c'è registrata solo quella che fece nel gennaio '97. Davanti all'allora procuratore di Tortona, Aldo Cuva, che gli chiedeva se sapeva chi avesse ucciso la Berdini, lui fece il nome dei suoi fratelli: Franco, Paolo e Sandro. Un Caino, si disse allora. Ma poi aggiunse anche il proprio, di nome: «C'ero anche io, ho parteci- pato alla spedizione alla Cavallosa». Un rebus, si pensò. Perché nessuno lo aveva mai accusato, fino ad allora. Ma poi ci fu un altro salto mortale, all'indietro: «Procuratore, non è vero niente». Era l'I 1 febbraio, neanche un mese dopo la confessione. Brunella Giovare Lorenzo Bossini, il marito di Maria Letizia Berdini, vicino al cavalcavia della morte

Luoghi citati: Torino, Tortona