Tokyo, la crisi nell'urna di Claudio Gallo
Tokyo, la crisi nell'urna Il Giappone rinnova la metà della Camera alta: un insidioso esame per il premier Hashimoto Tokyo, la crisi nell'urna Dal voto un test sulla voglia di cambiare TOKYO. Prima la tempesta finanziaria che ha limato le unghie alle Tigri asiatiche, poi l'umiliazione della prima recessione dopo 23 anni, infine la love story tra il cinese Jiang Zemin e BUI Clinton, dei cui larghi sorrisi di ragazzone del West ancora riverbera l'aria di Tienanmen: il Giappone ha proprio smarrito il tocco magico che l'aveva portato ai vertici dell'economia planetaria, poco dopo aver perso la più sanguinosa guerra della storia e aver inaugurato da vittima l'era atomica. Non lo dicono solo gli «infidi» esperti americani, ma ormai alcuni leader nazionali che cercano di spiegarea un popolo ferocemente tradizionalista e abitudinario che è ora di cambiare, se no la bella favola del dopoguerra finisce in tragedia. Le elezioni di oggi, dove cento milioni di giapponesi devono rinnovare la metà dei seggi della poco influente Camera alta del Parlamento, sono importanti più come termometro della voglia di rinnovamento che per lo scarso peso politico. E sono poi una specie di referendum per il primo ministro Ryutaro Hashimoto, 60 anni, figlio d'arte e uomo nuovo della politica invecchiato in un attimo, alla velocità con cui è precipitato l'indice Nikkei della Borsa di Tokyo. Il Giappone che si permette ancora di prestare alla disastrata Russia di Eltsin ottocento milioni di dollari slegati da qualsiasi contratto commerciale, non è più quell'esempio di potenza economica agitato per anni dai fanatici della versione orientale del mercato. Oggi il buco del settore finanziario si aggira sui 560 miliardi di dollari, grossomodo l'intera ricchezza nazionale di un Paese come il Canada. La litania che corre sulle bocche dei businessmen di Tokyo dice: riforme. Ma si infrange contro un apparato burocratico che governa la politica ed è ostile a qualsiasi mutamento. Strutturato su un concetto di gerarchia non più funzionale ai mercati moderni, il Paese a lungo immaginato come fortezza ipertecnologica è paradossalmente rimasto indietro nella tecnologia di punta e nella creatività. Molte aziende giapponesi hanno troppo personale, gente utile a mantenere una catena di comando che in Occidente è stata snellita dall'applicazione delle nuove tecnologie e dei contratti esterni. Tokyo è alla periferia della grande rivoluzione telematica. Verrà dalle elezioni di oggi un segnale di svolta? E' possibile che le cose restino come sono, che il partito liberaldemocratico di Hashimoto (l'eterna De laica giapponese) conservi i suoi 61 seggi e il premier, eletto nel '96, resti in sella, nonostante i sondaggi gli siano stati ogni giorno più sfavo revoli. D'altra parte il suo eventuale successore potrebbe essere l'incolore ministro degli Esteri Keizo Obuki, che non è certo un idolo delle masse. Un indeboli mento dei liberaldemocratici spiazzerebbe il premier che il 22 luglio avrà un appuntamento alla Casa Bianca per discutere gli sfracelli economici asiatici. Il primo a non credere nell'indispensabile cambiamento è proprio il fratello minore di Hashimoto, Daijiro, 51 anni, ex giornalista che si è guadagnato la fama di politico innovatore come governatore della prefettura di Kochi, nell'isola meridionale di Shikoku. «Il fatto è che il Giappone cambierà ben poco - ha detto al New York Times -. Anche se al governo ci andasse l'opposizione, sarebbe molto difficile fare le riforme. Il nostro sistema ha bisogno di enormi mutamenti. Ma se la percezione della gente non cambia allora per il Paese saranno davvero guai». Una delle principali battaglie elettorali si è combattuta, tutti dalla stessa parte, contro la crudeltà dell'uffico Imposte: il fisco giapponese è il più spietato del si¬ stema capitalistico, con percentuali di tassazione personale fino al 63% (sommando oneri governativi e locali), una percentale che non incoraggia affatto i tanto invocati consumi interni. Hashi¬ moto, che già ha concesso sgravi fiscali, ne ha promessi altri per il prossimo anno; e Taku Yamashi, uno dei boss liberaldemocratici, ha giurato che per il '99 i giapponesi pagheranno meno tasse. Ya- mashi ha suggerito che il gettito fiscale dovrebbe diminuire di 29 miliardi di dollari. «Ci sono soltanto due vie di scampo - dice Daijiro, l'ultimo prodigio della famiglia Hashimo¬ to -. Una è che l'economia giapponese coli a picco. Non voglio neppure pensarci, sarebbe un problema per il mondo intero. Il Paese sarebbe però costretto a prendere coscienza di essersi cacciato in un vicolo cieco e ad accettare la necessità del cambiamento. L'altra sarebbe un partito completamente nuovo che vada al potere con un nuovo programma e metta tutto sottosopra. Al di fuori di queste due possibilità è molto improbabile che nei prossimi dieci o quindici anni cambi qualcosa». Claudio Gallo Un buco finanziario di 560 miliardi di dollari impone rapide riforme Ma l'apparato burocratico che governa la politica resiste ostinato II premier Hashimoto e suoi simpatizzanii all'ultimo comizio
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