«Attacco inconcepibile»

«Attacco inconcepibile» «Attacco inconcepibile» 7/ Colle: non leggevi i giornali? LA REPLICA I DEL QUIRINALE LROMA A replica che filtra dal Colle è puro veleno: che razza di pubblico ministero era questo Di Pietro se non leggeva neppure gli articoli di giornale che riguardavano Mani pulite? Il neosenatore, da Milano, lancia parole di fuoco contro un Oscar Luigi Scalfaro «cerchiobottista» che, dopo anni di silenzio, si sveglia per attaccare la magistratura? Il Quirinale non lo giudica neppure degno di un comunicato ufficiale di smentita. Per fermare le sue accuse «inconcepibili» basta invitarlo a scendere in un qualsiasi archivio di quotidiano e a controllare le prime pagine che, il 2 dicembre '94, riportano la pesante censura del Capo dello Stato su certi «atti giudiziari che uccidono»; e suggerirgli, in particolare, di soffermarsi su quelle che criticano l'avviso di garanzia inviato dal Pool a Berlusconi quando, 10 giorni prima, a Napoli, da premier rappresentava l'Italia ad un convegno internazionale. «E' vero - disse quel giorno Scalfaro ad una seduta del Csm - che la giustizia deve prevalere anche sull'interesse dello Stato quando la cosa è talmente enorme da avere il carattere della gravità e dell'urgenza. Se queste caratteristiche, però, non ci sono, ci possono essere momenti in cui occorre stare attenti che un atto della giustizia non finisca per avere ripercussioni interne ed internazionali non volute». U «signor» Di Pietro vada allora a leggersi quelle pagine e freni indignazioni ed ironie: un'analisi comparata tra l'intervento presidenziale del '94 e quello dell'altro giorno gli mostrerà che sono analoghi. Al punto che, come rivela Scalfaro a chi lo incontra in queste ore, «bastava rifare il cappello al primo e sarebbe andato benissimo anche per quest'ultima occasione, quattro anni dopo». Il vero problema, per il Quirinale, è un altro: che questo Csm, da allora ad oggi, non sia riuscito a trovare un'intesa, un «equilibrio» nei rapporti conflittuali tra magistratura e politica che rappresentano «un vero pericolo per la stessa democrazia». Dal Colle si guarda con apprensione ad un Paese che, in certi casi, è costretto a ritmare la propria vita sulle scadenze giudiziarie di Silvio Berlusconi. Quanto sarebbe meglio se i giudici, nel loro lavoro, fossero guidati anche da «un senso della politica penale»: vale a dire da un mix opportunamente dosato di «serenità, prudenza e pacatezza». Scalfaro ricorda spesso a chi gli sta vicino, la sera in cui Francesco Saverio Borrelli lo chiamò, alle 21,30, al Quirinale, per dirgli che un tenente colonnello ed un altro ufficiale dei carabinieri in quel momento stavano andando nel capoluogo campano per conse gnare il famoso avviso di garanzia a Berlusconi. Quando racconta l'episodio, tutto giocato all'insegna di una fretta così assoluta da apparire eccessiva, il Presidente confida che gli vengono in mente i pony express di certi film western lanciati, anche di notte, in una corsa senza freni. È si domanda: non potevano partire qualche ora dopo? Non potevano attendere che terminasse il vertice? La risposta é uh «ovvio» e preoccupato no: se avessero ritardato la consegna .dell'avviso, il Cavaliere avrebbe appreso di essere indagato non dalla magistratura, ma dalla prima pagina di un quotidiano che la mattina dopo riportava la notizia. E' una ricostruzione che il Presidente oppone a chi, come l'ex pm di Mani pulite, gli rimprovera di non aver suggerito a Borrelli, durante quella telefonata notturna, di soprassedere nell'invio del provvedimento giudiziario a Berlusconi: la chiamata, riferisce agli amici il Capo dello Stato, avvenne a cose ormai fatte, fu una semplice comunicazione, di quelle che il procuratore di Milano «avrebbe potuto fare a sua moglie» per raccontarle un lavoro ormai concluso. Nessun incrocio pericoloso tra Procura milanese e Quirinale, quindi, assicura il Presidente, che non dimentica un acceso incontro con il leader di Forza Italia dopo la caduta: secondo il Cavaliere almeno una ventina di suoi deputati erano convinti che, dietro quell'avviso di garanzia, ci fosse un accordo perverso tra Capo dello Stato e vertice della Procura milanese. «Sarebbe come accusarmi di aver rubato la cupola di San Pietro», fu la replica di Scalfaro. Ma la risposta che il Capo dello Stato avrebbe voluto dare e che, invece, trattenne sulla punta della lingua, era un'altra: quei 20 che hanno creduto possibile un comportamento del genere evidentemente erano disponibili a fare altrettanto. Oscar Luigi Scalfaro guarda an¬ cora indietro, alla storia recente: quattro anni e tre governi fa. E, ancora, si interroga sull'opportunità di un prowedimento giudiziario che possa condizionare negativamente un momento di politica. Scende dalle enunciazioni di principio alla prosa della concretezza: tra i vari modi per evitare certe interferenze ci può essere anche un inatteso e risolutivo «mal di pancia» che all'improvviso colpisca il giudice incaricato di firmare. Poi fa trapelare una considerazione che suona come un rebus: indagini e sentenze possono anche essere tecnicamente perfette, ma ciò non le rende di per sé giuste: ci sono atti, sostiene il magistrato Scalfaro, che quando sono redatti con scrupolo sono ineccepibili, ma quando sono redatti con disonestà, spesso, sono ancora più inattaccabili. E il rebus diventa un vero e proprio giallo quando, sempre a proposito di quel fatidico giorno di Napoli, che, forse, ha imposto un mutamento di rotta nella storia del Paese, il Presidente regala ad un gruppo di amici una sorta di inquietante promessa: «Tra vent'anni, se sarò ancora sufficientemente lucido, racconterò la seconda parte di tutta questa vicenda». Per adesso si limita a ribadire di non condividere l'idea di una commissione parlamentare d'indagine su Tangentopoli perché le inchieste influirebbero inevitabilmente sull'operato della magistratura. Proprio, non si sente il bisogno di ulteriori attriti tra giudici e politici in momenti in cui l'opinione pubblica è disorientata. Queste sono le preoccupazioni di un Oscar Luigi Scalfaro che sta avviandosi al passo d'addio. 0, piuttosto, sono i pensieri di un Presidente che guarda, con qualche speranza di rielezione, oltre la siepe degli ultimi dieci mesi di mandato? Lui assicura che quest'ipotesi non gli «è gradita» e nota che l'idea non sembra allettare neppure il mondo politico. Ma chi lo frequenta dice che il desiderio di restare sul Colle ancora per un po', è vivo: magari non un intero mandato, ma solo il tempo per consentire al Parlamento di varare le riforme. Oscar Luigi Scalfaro in questi giorni racconta: «Pensate, tra i tanti anche Benigni mi ha detto: "Presidente, non ci lasci"». Quanto possono essere forti le tentazioni di un piccolo diavolo. Renato Rizzo fi fi Tra vent'anni, se sarò ancora sufficientemente lucido racconterò la seconda parte di questa vicenda Dissi già quattro anni fa tutto quello che ho ripetuto l'altro ieri al Csm j J Ulo d'accordo con ilprocuratore di Milano Borrelli? Sarebbe come mi si accusasse di aver rubato la cupola di S. Pietro H : fessi- m^i-i- tfssysft verni 5, A sinistra il presidente Oscar Luigi Scalfaro, qui sopra la prima pagina della «Stampa» del 2 dicembre 1994 con il monito di Scalfaro ai giudici

Luoghi citati: Italia, Milano, Napoli, S. Pietro H