La testa perduta del pentito dimenticato
La testa perduta del pentito dimenticato Il cadavere trovato in un bosco in Calabria: l'uomo non era più stato protetto dopo una fuga La testa perduta del pentito dimenticato Così un collaboratore è morto decapitato dalla burocrazia LA SCONFITTA DEL CORAGGfiO Pasquale Turrà scompare dalla località protetta il 18 settembre 1997, e quando i carabinieri vanno a visitare l'appartamento dove viveva scoprono che s'è portato via tutto. Dunque è scappato volontariamente, violando le regole della protezione, anche se i magistrati temono il peggio: è un collaboratore affidabile, scrivono, e «appare difficile che abbia abbandonato senza alcun preavviso la sede a lui assegnata». Ma l'assenza dei vestiti dimostra il contrario. In ogni caso la Procura di Catanzaro raccomanda alla Commissione di non prendere decisioni in attesa di capire che cosa è successo. Immediatamente il nome del pentito scomparso viene inserito nel «bollettino delle ricerche» diramato dal Viminale, e diventa un ricercato a tutti gli effetti. A no¬ vembre Turrà si fa vivo coi carabinieri di Catanzaro, prende un appuntamento e viene accompagnato in caserma. Si dichiara pentito della fuga e pronto a riprendere la collaborazione; lamenta che il Servizio di protezione non l'ha trattato bene; spiega che è scappato perché nella «località protetta» aveva visto delle facce che non gli piacevano, gente della sua terra che probabilmente vole- va fargli la pelle. Nessuno gli chiede come mai, se temeva che qualche paesano lo volesse ammazzare, lui è tornato proprio nel suo paese. Fatto sta che Turrà viene lasciato libero di riprendere la via dei boschi, mentre per la commissione ministeriale è ancora «irreperibile». Uno status che non gli consente di riavere il programma di protezione: il 26 novembre la Commissione decide di non prorogare il programma di protezione, perché «la sua persistente violazione degli obblighi comportamentali ha reso impossibili le misure poste in atto per tutelarlo». Passano altri tre mesi, e a febbraio accade un altro sconcertante episodio: 1'«irreperibile» Turrà compare regolamente davanti alla corte d'assise di Catanzaro, e nella deposizione conferma le sue dichiarazioni contro i sodali di un tempo, compreso il fratello, anche se al pm aveva confidato di aver subito pressioni per ritrattare le accuse. Poi scompare di nuovo. I magistrati rinnovano la richiesta di protezione, ma nemmeno loro sanno dove si trova Turrà; la commissione ribadisce il diniego. Di tanto in tanto il pentito in fuga si fa vivo dai boschi, dice di essere minacciato, ma nessuno lo va a prendere per farlo tornare «reperibile» Lui comunica di essere in pericolo, e da Catanzaro scrivono a Ro ma. Niente altro. Il 16 giugno la Direzione distrettuale antimafia chiède un'audizione di Turrà davanti alla commissione, respinta una settimana dopo sempre a causa deU'«irreperibilità». Nel frat tempo, il 22 giugno, la polizia di Catanzaro viene sollecitata perché adotti le «misure ordina rie» di tutela del pentito che non si trova. E' l'ultimo capitolo della beffa: l'autopsia ha dimostrato che a metà giugno Pasquale Turrà era già morto. Mentre le carte cor revano tra gli uffici di Catanzaro e Roma, chi doveva trovare Pa squale Turrà per vendicarsi l'ha trovato nei boschi di Guardavalle E gli ha staccato la testa con un colpo di fucile. Giovanni Bianconi Dichiarato «irreperibile» aveva testimoniato in aula contro il fratello e un clan sulla fine di un pentito Nuove polemiche sulla fine di un pentito ■j L colpo di fucile a panettoni I gli ha staccato la testa, e il cani davere è rimasto nel dirupo per quasi un mese tra i boschi intorno a Guardavalle, in uno dei valloni calabri che guardano lo Jonio dall'alto. A non più di cento metri dalla casa del morto, vicino a un ovile. Ma nessuno, fino a tre giorni fa, aveva segnalato la presenza di quel corpo decapitato, nonostante l'odore provocato dalla decomposizione. Eppure, che qualcuno sia passato da quelle parti è dimostrato dalle fascine di legna tagliata di fresco, accatastate di recente. E' l'ultimo mistero sulla morte del pentito di 'ndrangheta Pasquale Turrà, 47 anni e una vita vissuta tra le faide delle montagne calabresi, due fratelli uccisi, un altro pentito come lui, un altro ancora in galera grazie alle sue accuse. Secondo il procuratore antimafia di Catanzaro Mariano Lombardi gli abitanti della zona «hanno fatto finta di non avvedersi del cadavere del collaboratore». L'omertà è prevalsa anche di fronte alla morte e a un corpo decapitato. Ma non è solo questa la denuncia dei magistrati di Catanzaro. «Le nostre previsioni - ha scritto Lombardi nella relazione alla Procura nazionale antimafia formalizzate nei documenti trasmessi al Servizio centrale di protezione sui rischi cui era esposto Turrà e sul suo isolamento, si sono puntualmente realizzate». Pasquale Turrà aveva raccontato molti fatti riguardanti la cosiddetta «faida delle Serre», una guerra scoppiata vent'anni fa tra pastori e tagliaboschi nella quale hanno cercato di mettere pace (inutilmente) perfino i frati della Certosa di Serra San Bruno. Aveva svelato i retroscena di omicidi, estorsioni e un sequestro di persona, puntando il dito sui suoi stessi familiari. Per questo, nel 1995, era stato messo sotto protezione dallo Stato. Ma poi, dieci mesi fa, se n'è andato dalla località segreta dove era stato sistemato, e il programma gli è stato revocato dalla Commissione ministeriale sui pentiti. Di qui l'accusa dei giudici che avevano raccolto le sue dichiarazioni: Turrà è stato ucciso dalla cieca burocrazia di Roma. Un cadavere senza testa accende così l'ennesima polemica tra governo e magistrati, in una triste gara tra chi è stato più o meno burocratico, più o meno «professionale» nella gestione del pentito in questa storia di 'ndrangheta rurale, fatta di incomprensioni e di incredibili episodi certificati dall'altalena di fonogrammi e relazioni di servizio tra Roma e Catanzaro.
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