«Ero un robot, ho ucciso mio figlio» di Fabio Albanese
«Ero un robot, ho ucciso mio figlio» Catania: la confessione del padre che ha lasciato morire il bimbo di due anni in auto «Ero un robot, ho ucciso mio figlio» «Magiaro, credevo di averlo lasciato all'asilo» CATANIA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «Ero molto stanco e accaldato. Preso dalla routine della mattina, ho saltato un passaggio, e sono andato dritto al lavoro, quasi come un robot, convinto di aver portato mio figlio all'asilo: non potrò mai dimenticare quanto è accaduto». A una settimana dalla tragedia, Salvatore Deodato ieri mattina si è presentato dal magistrato per raccontare la sua versione dei fatti, per spiegare come ha potuto lasciare per cinque ore e mezzo il figlio Andrea, 18 mesi, nell'auto, provocandone la morte. Deodato è entrato nella pretura di via Crispi alle 10,30. Con lui la moglie, Maria Giovanna Augugliaro, e il difensore. Al sostituto procuratore Maria Pia Urso l'uomo ha ricostruito la mattina di venerdì 3 luglio, quando Catania era sotto una coltre opprimente di caldo torrido che superò i 47 gradi. Ogni giorno, la coppia di coniugi si divideva il compito di accompagnare i figli a scuola: a turno, uno si occupava di Andrea, l'altra dei due loro gemelli, o viceversa. «Quella mattina Andrea era già pronto prima dei gemelli - ha raccontato Deodato - così mi sono incaricato io di portarlo all'asilo»». Il percorso è di poche centinaia di metri. I Deodato abitano in via Giuffrida, nella parte alta della città; l'asilo è in viale Sanzio, che con via Giuffrida fa angolo. Ogni giorno lo stesso percorso. Se bisognava accompagnare Andrea a scuola, al semaforo si girava a destra, altrimenti si andava a sinistra fino a piazza Michelangelo, all'edicola dei giornali e poi via verso la zona industriale, alla periferia Sud di Catania, nel suo ufficio alla St Microelectronics. La Uno di Deodato ha percorso quella decina di chilometri sotto un sole cocente. Andrea, seduto nel seggiolino fissato al sedile posteriore, probabilmente si è addormentato e il padre lo ha perso nello specchietto retrovisore. A dare una conferma del racconto dell'uomo, il contenuto della telefonata della moglie al marito, intorno alle 14, dopo che la donna si era presentata all'asilo non trovando il figlio. «Andrea è all'asilo», ha ripetuto più volte al telefono Salvatore Deodato, che era sicuro di aver fatto anche quella mattina il solito giro, di aver svoltato a destra al semaforo. Poi, però, ha realizzato, ha lasciato il telefono sul tavolo ed è corso urlando verso la sua auto parcheggiata al sole, trovando il bambino ormai morto. Il magistrato ha accertato con l'azienda che quella mattina Deodato non era affatto in ritardo e che stava regolarmente svolgendo la sua attività all'interno dello stabilimento quando ha ricevuto l'allarmata telefonata della moglie. Alcuni colleglli hanno riferito che un quarto d'ora dopo quella telefonata, Maria Giovanna Augugliaro ha richiamato l'ufficio del marito chiedendo ai colleghi: «Come è finita con Andrea?». In quel momen¬ to un'infermiera stava cercando invano di rianimare il bambino, con ustioni sugli arti e un'embolia cerebrale dovuta alla disidratazione. Stando all'interrogatorio di ieri, durato un'ora e mezzo, Deodato veniva da alcune settimane molto intense nelle quali, durante un periodo di ferie, aveva tenuto corsi professionali per operatori di computer. Inoltre il caldo soffocante cominciato il giorno prima non lo aveva fatto dormire tutta la notte, lasciandolo spossato e stanco. Sarebbe stata questa la miscela che gli ha fatto dimenticare di avere in auto il figlio. «Non è facile nemmeno per me dice Urso - chiudere quest'inchiesta»». Il magistrato deve ancora ascoltare l'infermiera e alcuni colleghi di Deodato. Ma un'idea dev'essersela fatta, se si spinge a dire che «quell'uomo adorava il suo bambino». La moglie di Deodato ha detto al magistrato che si sarebbe comunque presentata in pretura, anche se non fossu stata convocata, e ha aggiunto: ((Andrea era un bambino voluto fortemente e desiderato», quasi a voler riconfermare la fiducia nel marito, già ostentata il giorno dei funerali quando lo ha tenuto abbracciato durante la cerimonia, e a voler spazzare i dubbi sulla condotta e la psiche del suo uomo, avanzati da psicologi nei giorni successivi alla tragedia. Fabio Albanese «Non avevo dormito tutta la notte Adoravo il mio bimbo. Lo avevamo voluto, lo desideravo» Il nuovo perdono della moglie
Luoghi citati: Catania
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