Cuva al giudice: mi dimetto da magistrato
Cuva al giudice: mi dimetto da magistrato Milano: il pm che indagò sulla banda dei sassi e accusato di molte irregolarità potrà patteggiare la pena Cuva al giudice: mi dimetto da magistrato E prima presenta in tribunale una sua perizia psichiatrica MILANO. Alla fine - anche lui - ha deciso di levarsi la toga dalle spalle: «Dottoressa, io mi dimetto». Parole pronunciate «con grande amarezza» da Aldo Cuva, ex procuratore di Tortona, protagonista di un'inchiesta diventata famosa assieme a lui: quella sull'omicidio di Maria Letizia Berdini, uccisa da un sasso lanciato da un cavalcavia. Inchiesta partita alla grande, almeno per il magistrato: undici arresti, e «il caso è risolto», come dichiarò allora. Ma finita malissimo: con lui costretto a lasciare in piena udienza preliminare, dopo la ritrattazione della supertestimone. In aula, lei lo aveva accusato di averla minacciata durante gli interrogatori, e di averle suggerito frasi ed elementi di accusa contro altri imputati, poi finiti a verbale. Quel giorno - 7 ottobre '97 - è iniziata la parabola discendente di un magistrato con 26 anni di carriera. Prima a Torino all'Ufficio Istruzione, assieme a colleghi come Giancarlo Caselli, Marcello Maddalena, Mario Vaudano, e Maurizio' Laudi (chiamato poi a prendere in mano il fascicolo Berdini, complicato e monco, per portarlo al dibattimento). Una carriera con una sola inchiesta di grido - contrabbando petroli - e i primi guai con il Csm per via di un'intervista in cui chiamava in causa Giulio Andreotti. Il passaggio a giudice in tribunale, poi il salto ad una carica dirigenziale: procuratore, a Tortona. E qui, finalmente la grande inchiesta, per un delitto orribile che per settimane finì in prima pagina: la morte di una ragazza che andava in vacanza con il marito, l'arresto di una banda di ragazzi di paese. «Teste vuote», li battezzò lui. Ma tutto questo è lontano anni luce, con un Cuva finito lui sotto inchiesta a Milano per falso ideologico, violenza privata e minacce. Il pm Giovanna Ichino lo accusò di aver tentato di «aggiustare» le versioni rese da alcuni indagati, di aver indotto Loredana Vezzaro a dichiarare fatti a cui non aveva assistito, di aver convinto chi doveva trascrivere le registrazioni degli interrogatori a manipolare i nastri e a cancellare frasi compromettenti: «Guarda che sbatto dentro anche tua madre», «bambolina, non mi imbrogli», «se non dici di essere stata sul cavalcavia non esci più da questa stanza». «Ho perso la testa», si giustificò Cuva durante uno dei primi interrogatori. E ieri, giocata e persa l'ultima carta di una perizia psichiatrica presentata dai suoi difensori, all'ex «procuratore dei sassi» non è restato che mettere sul tavolo le proprie dimissioni dalla magistratura, per poter così accedere al patteggiamento. «Non è stata una decisione facile. In vita mia ho sempre lavorato per rendere un servizio alla società», ha commentato all'uscita dall'ufficio del gip Maria Luisa Savoia. Emozionato, e forse anche sollevato, dopo «un lunghissimo periodo di stress». Ma con un'ultima, prevedibile, impennata di orgoglio: «Se oggi possiamo vedere in faccia gli autori di questo fatto di sangue, credo sia anche merito mio». Dimenticandosi - nell'affanno di dover comunque dichiarare qualcosa ai cronisti - che i fratelli Furlan, la Vezzaro, Paolo Bertocco e Roberto Siringo, non sono ancora stati condannati. E che il processo, rallentato da troppe questioni procedurali, è comunque in corso e riprenderà ad ottobre. Ieri, alla lista di irregolarità già in mano alla dottoressa Ichino, si è aggiunto dell'altro. Uno degli imputa¬ ti che nega con forza di aver partecipato ai lanci: nella trascrizione c'è la sua protesta d'innocenza, nel verbale riassuntivo invece no. Un errore clamoroso avvenuto durante un riconoscimento fotografico: mai trascritto. Una frase - inventata («ho fatto centro!») - attribuita da uno dei Furlan a Gianni Mastarone (poi scagionato dall'alibi). Inutilmente il difensore Sergio Badelhno ha depositato la perizia che parlava di «momenti di non lucidità», durante i quali Cuva avrebbe commesso le irregolarità contestate. Il pm ha ribattuto con una richiesta di controperizia, e comunque si è opposto al rito abbreviato. Non restava che il patteggiamento. Lui ha accettato, né poteva forse scegliere altrimenti. Oggi manderà una lettera al Csm per annunciare l'abbandono della magistratura, e la sua definitiva uscita di scena. Niente più aule giudiziarie. Solo quella in cui dovrà entrare il 23 settembre per «ufficializzare» il patteggiamento (con massimo pena 2 anni). Ma sarà l'ultima volta. Poi, dice l'avvocato Badellino, «uscirà dalla mischia». «Non è stata una decisione facile ho sempre lavorato per la società» Minacciò i testi e fece manipolare alcune trascrizioni dei verbali Aldo Cuva. In alto il cavalcavia del delitto
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