La poesia moderna, una questione di io e tu di Giorgio CalcagnoGiovanni Raboni

La poesia moderna, una questione di io e tu Alla Fondazione Cini di Venezia un corso per italianisti sulla funzione dei due pronomi nella lirica La poesia moderna, una questione di io e tu Da Leopardi a D'Annunzio a Caproni, Vegli è fuori gioco JVENEZIA IAMOCI del tu» è una frase che un poeta non scriverà mai. Il tu è uno dei due pronomi che gli sono consentiti, non ne può fare a meno per rivolgersi ai suoi interlocutori e soprattutto alle sue interlocutrici. «Silvia rimembri ancora», scrive Leopardi, che non sappiamo quale pronome usasse per rivolgersi a Teresa Fattorini. «Torna dinanzi al mio pensier talora / il tuo sembiante Aspasia», interpella più tardi la Fanny Targioni Tozzetti verso la quale sappiamo bene quale pronome usava, testimoniato dalle lettere: un rispettoso, formalissimo voi. Nel chiuso della stanza, davanti alla pagina bianca, il poeta sa di potersi prendere qualche confidenza. Non sarebbe poeta se non lo facesse. La storia della poesia moderna, anzi di tutta la poesia, si può anche leggere come un dialogo fra l'io e il tu. C'è sempre un fego che esterna e confida in un altro, o un'altra, in attesa di ascoltarlo. Pronome fastidioso l'io, messo al bando in società, sconsigliato dai galatei linguistici; ma non eliminabile. E, nella poesia, dominante. «Sono i due motori che accendono la conversazione», ci dice il professor Francesco. Bruni, storico della lingua, che sul tema «L'io e il tu nella lirica» ha promosso un corso per italianisti, inaugurato martedì alla Fondazione Cini di Venezia. «L'io cerca il tu, i due si intrattengono uno con l'altro. L'egli è esterno, fuori gioco». Ha ragione. Quanti egli possiamo trovare nel¬ la storia della poesia? Ma quell'io, dovrebbero ammetterlo anche i critici più comprensivi, un po' ingombrante rimane. Non c'è un sospetto di Narciso, nell'autore che non si stanca di versare sul suo pubblico, da seicento anni, «il suono di quei sospiri ond'io nudriva T core»? Francesco Bruni respinge l'obiezione. «Il giudizio di narcisismo che spesso si dà dei poeti non è del tutto giusto. C'è sempre un tu dall'altra parte; e non soltanto oggi. Già in Saffo il tu è ben presente con l'io, sia pure in una situazione del tutto diversa». Ma attenzione, chi è questo tu? «Non è sempre una donna, Beatrice, Laura o Silvia. Può essere la luna di Leopardi, possono essere le selve di Petrarca. In poesia è possibile parlare a dei tu che non esistono. Ho fatto un corso su Petrarca: il tu di Laura è meno presente di quanto a orecchio un lettore non pensi. Più spesso il tu è Amore. In "Chiare fresche dolci acque" sono le acque». Il tu più scoperto viene avanti oggi. Bisogna avere lasciato alle spalle D'Annunzio e tutti i suoi derivati, per abbassare l'ego troppo prepotente della nostra lirica. Montale, che viveva l'io al cinque per cento, scrive quasi sempre col tu. Caproni, che forse stava anche sotto quella percentuale, sempre. In Montale il tu è la donna, conosciuta e non detta. In Caproni il tu è un altro, anzi l'Altro, il Nome, detto e non conosciuto, perché inconoscibile. «Ma il tu c'è sempre stato - dice Giovanni Raboni, critico e poeta in proprio -. Soltanto non veniva interpellato direttamente, perché il poeta non osava rivolgersi a lui, in modo scoperto, lo idealizzava. In Montale e nei suoi successori il tu è diventato un modo per materializzare il destinatario». E. c'è un'altra ragione, più esistenziale. «Il tu oggi è un tentativo per rompere il drammatico isolamento in cui il poeta si sente per mancanza di interlocutore. Diventa il simbolo di un ascoltatore che si sa quasi inesistente». Ma il tu e l'io, conferma il poeta, non sono due valori che si contrappongono, sono necessari insieme. Anche se Raboni, dall'io, si è tenuto a lungo lontano. «Per pudore, per diffidenza verso la poesia liricizzante di quegli anni. Sono andato in controtendenza, ho conquistato l'io con la maturità». Non il vecchio io solipsista, naturalmente, che pone se stesso al centro del mondo. Un io aggiornato, che si smaschera, mette in gioco se stesso, con un tu che può anche essere metafisico. Possiamo darci dell'io? In poesia torna a essere permesso. Giorgio Calcagno Giovanni Raboni, critico e poeta: «Il tu c'è sempre stato, ma l'autore non osava rivolgersi a lui in modo scoperto»

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