L'ultimo autobus per la rivoluzione di Aldo Rizzo
L'ultimo autobus per la rivoluzione PASSIONE E CALCOLO L'ultimo autobus per la rivoluzione Lj ATTENTATO a Togliatti, il 14 luglio di cinquant'anni fa, fu un drammatico, straordinario fatto di cronaca, ma fu anche uno spartiacque politico nella storia dell'Italia dopo la seconda guerra mondiale. Anche se non è mai emerso alcun nesso diretto tra il gesto criminale del giovane Pallante e un qualsiasi partito anticomunista, i quattro colpi di pistola in via della Missione furono l'ultimo effetto della grande tensione politica del 18 aprile, in un certo senso furono il colpo di coda di quell'asperrimo scontro elettorale, decisivo per le sorti del Paese. Furono anche l'occasione per l'ultimo, e forse per il solo, sfogo rivoluzionario del Pei. Dopo, tutto sarebbe stato diverso, per grave che restasse la rivalità politica tra le sinistre e il centrodestra. Pallante vedeva in Togliatti «l'agente di una potenza straniera», un emissario del «comunismo internazionale», e nella sua logica di fanatico estremista intendeva «salvare la patria», ritenendo insufficiente che già gli elettori avessero bocciato il comunismo filosovietico. Dietro il suo delirio, c'era la realtà della guerra fredda, dell'Europa divisa, della minaccia dello stalinismo. Tra febbraio e luglio, Stalin aveva messo in atto il colpo di Stato a Praga e il blocco di Berlino e aveva scomunicato il nazionalcomunismo jugoslavo, e a tutto questo non era mancato il plauso incondizionato dei comunisti italiani. Questi, a loro volta, avevano mal digerito la sonora sconfitta del 18 aprile, a opera della De di De Gasperi, ma mentre i dirigenti, Togliatti in testa, cominciavano a «storicizzarla», preparandosi a un lungo confronto sociale e politico-parlamentare nell'ambito della Costituzione repubblicana, una parte della base pensò che l'attentato di via della Missione potesse o addirittura dovesse ribaltare il quadro, rimettendo in discussione i rapporti di forza. I moti insurrezionali, o pre-insurrezionali, che si manifestarono in alcune città contro il «governo assassino» furono dettati dall'emozione, sincera e spontanea, ma anche da un calcolo di questo tipo, cioè dall'idea che stesse passando l'ultimo autobus per la «rivoluzione». In realtà non ci fu nessun autobus, per la ferma reazione delle forze dell'ordine e per la sostanziale moderazione dei dirigenti, primo fra tutti Togliatti, di cui sono famose le parole dopo l'attentato e prima dell'intervento chirurgico che gli salvò la vita: «Mi raccomando, non perdete la calma». Per il controllo della situazione si adoperò anche Di Vittorio, il leader carismatico della Cgil, che decretò la fine dello sciopero generale il 16 luglio. In altre parole, messo alle strette, il vertice del Pei optò per il «ritorno alla normalità», decise di non compromettere, per una partita assai incerta e anzi persa in partenza, un patrimonio di credibilità politica faticosamente accumulato fin dal rientro di Togliatti in Italia, nel 1944. Così quell'evento delittuoso finì per essere un elemento di chiarificazione ulteriore, dopo la prova di forza democratica del 18 aprile. Certo, restava molta ambiguità nel Pei, anche o soprattutto a causa della sua persistente solidarietà con l'Urss (Tanno dopo esso avrebbe combattuto, con i socialisti di Nenni ancora alleati, una furibonda battaglia contro l'adesione italiana alla Nato). Ma la sua «lunga marcia nelle istituzioni» aveva ormai una direzione obbligata, senza alternative plausibili.- L: Aldo Rizzo
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