QUATTRO COLPI A TOGLIATTI l'Italia in bilico

QUATTRO COLPI A TOGLIATTI l'Italia in bilico Il 14 luglio di 50 anni fa l'attentato al segretario del Pei: per tre giorni si visse nell'incubo di una nuova guerra civile QUATTRO COLPI A TOGLIATTI l'Italia in bilico TATE calmi, non fate stupidaggini. Nella memorialistica comunista queste sono le prime parole che Palmiro Togliatti susall'orecchio di Lorigo e sull'ambulanza che lo surra Secchia, trasporta al Policlinico di Roma, dopo le rivoltellate di Antonio Pallante. E' la mattina del 14 luglio 1948. Alle 11,40, in via Missione, davanti all'ingresso secondario della Camera, un giovane fanatico, giunto in treno da Catania cinque giorni prima, aveva sparato quattro colpi contro il segretario del Pei: il primo alla base del cranio, il secondo al polmone sinistro, il terzo era andato a vuoto, il quarto aveva sfiorato la milza. Acquistata il giorno prima da un armaiolo, la pistola era dotata di proiettili privi del rivestimento esterno di antimonio, non abbastanza duri per perforare le ossa, quindi più adatti a ferire che a uccidere. Quando nel pomeriggio, dopo una lunga operazione al polmone, Togliatti riapre gli occhi nello studio del professor Valdoni, di nuovo dice ai dirigenti comunisti - Longo, Secchia, Scoccimarro e Caprara - «Calma, mi raccomando, calma, non facciamo sciocchezze». Giorgio Bocca e Aldo Agosti, autori di due biografie togliattiane, nel 1973 e nel 1996, concordano nel sottolineare la preoccupazione moderata del segretario comunista. Quello stesso storico giorno, l'Unità di Torino pubblica un reportage sul film che il regista Giuseppe De Santis sta girando fra le risaie del Vercellese: Riso amaro, con la prorompente Silvana Mangano e l'ex calciatore Raf Vallone. L'autore del servizio è un giovane redattore, Italo Calvino, che descrive l'attrice «mirabile ritmo di curve piene» e con intuito la immagina «una delle grandi fortune del film». La coincidenza è ricordata dallo storico fiorentino Giovanni Gozzini (Università di Verona) in un libro di gradevole lettura, Han- no sparato a Togliatti, pubblicato a maggio dal Saggiatore. Siamo nell'Italia della ricostruzione, che cerca una nuova identità dopo il disastro della guerra fascista. Il 12 luglio la Camera ha approvato il piano Marshall di aiuti americani all'Europa (con il no di Togliatti). Il giorno dopo cominciano gli esami di maturità classica, con dieci giorni di ritardo a causa del furto dei temi. I candidati possono discettare sul valore universale della poesia, da Omero a Carducci, o chiarire il dubbio manzoniano su che cosa si debba intendere per «vera gloria». A Napoli è sbarcato il romanziere inglese Archibald J. Cronin e a Torino è arrivata la soubrette americana Josephine Baker. L'attentato a Togliatti conduce il Paese sull'orlo dell'insurrezione, La reazione popolare è lo sciopero generale «più completo e più esteso che si sia mai avuto», secondo il giudizio di Giuseppe Di Vittorio, segretario della Cgil. Come scrivono Giovanni Gozzini e Renzo Martinelli nel nuovo volume della Storia del Partito comunista italiano, Einaudi (che va dal 14 luglio all'VIII congresso del '56), la parte di italiani sconfitta alle elezioni solo tre mesi prima interpreta l'attentato «come l'atto estremo di una reazione volta a cancellare il partito comunista». Mentre l'altra Italia, quella che ha vinto le elezioni, «trattiene il respiro e si chiude in casa». Il volume raccoglie diverse testimonianze sulla spontaneità dei moti che accompagnano lo sciopero. Renzo Batini, del Pei di Piombino, ricorda gli operai delle Acciaierie che in massa si dirigono in centro: «Il loro volto era livido di rabbia... Altri ancora, più anziani, avevano il viso solcato di lacrime». Lo scrittore Francesco Jovine descrive i tumulti a Roma: «Incominciarono ad arrivare i camion... gremiti di uomini, donne, ragazzi: un ammasso enorme di gente appenata e taciturna». Secondo la relazione di Mario Sceiba, ministro dell'Interno, il bilancio finale è di sedici morti (9 agenti e 7 civili). Gozzini e Martinelli non credono all'esistenza d'un piano K dei comunisti per la presa del potere, ma avvalorano l'ipotesi di un piano difensivo, che scattò soprattutto nelle aree industriali, con blocchi stradali e occupazione delle fabbriche. Alla Fiat di Torino, com'è noto, vi rimase coinvolto il presidente Valletta, per libera scelta: «Perché non se ne va a casa sua?», gli disse il comunista Battista Santhià. «No, il mio posto è qui, fra gli operai», rispose Valletta. A Genova i manifestanti s'impadronirono di cinque autoblindo della polizia. A Livorno tentarono di sfondare il portone della caserma dei carabinieri. Due gravi episodi avvennero a Busto Arsizio, dove furono assaltate le carceri, e ad Abbadia S. Salvatore, nel monte Amiata, teatro di una rivolta, con uccisione di poliziotti e carabinieri e spettacolari rastrellamenti di risposta. I disordini furono più pericolosi dove gli ex partigiani potevano rappresentare un centro dirigente alternativo al Pei, appendice del «ciclo della violenza» resistenziale. I rapporti di prefetti e questori riconoscono il ruolo moderatore dei dirigenti comunisti. Il titolo a tutta pagina dell'edizione straordinaria dell'Unità indicava ai dimostranti un obiettivo pacifico: «Via il governo della, guerra civile». Prendeva partito contro una possibile insurrezione. La Cgil fissò la fine delle agitazioni per il 16 luglio a mezzogiorno. La normalizzazione fu tormentata a Milano e Torino, ma nel pomeriggio di venerdì 16 lo sciopero si poteva considerare concluso. La sera il Giornale radio si aprì con la vittoria di tappa e la maglia gialla di Gino Bartali al Tour de France. Si disse allora che un'Italia lacerata venne riconciliata dal nazionalismo sportivo. Proprio i quotidiani del 14 luglio davano la notizia che Bobet, astro nascente del ciclismo fran¬ cese, aveva piegato l'italiano, infliggendogli otto minuti. In classifica generale, Bartali è settimo, con 21'28" di distacco. Il giorno dell'attentato la corsa riposa. Ma l'indomani il toscano passa sul Col de TIzoard con 19 minuti su Bobet. Venerdì arriva a Aixles-Bains con altri sette minuti di vantaggio. A quasi 35 anni sta per rivincere il Tour. Ma quando Carlo De Biase, direttore del Giornale radio, manda in ondala notizia, la calma è già tornata. Per Gozzini e Martinelli, quella di Bartali salvatore della patria è soltanto una leggenda. Un mito di riconciliazione «smentito dai fatti». L'Italia del 1948 «rimase divisa». Alberto Papuzzi Scioperi e dimostrazioni in tutto il Paese, mentre il leader ferito invitava alla calma. Quando Bartali vinse al Tour la situazione era già sotto controllo // gesto di un giovane fanatico fu interpretato a sinistra come l'atto estremo di una reazione volta a cancellare il partito comunista Qui sopra Silvana Mangano in una celebre immagine di «Riso amaro», girato proprio nei giorni dell'attentato, e Gino Bartali al Tour de France del '48. In alto Palmiro Togliatti convalescente al Policlinico di Roma e una delle dimostrazioni di piazza che fecero seguito al ferimento del leader comunista