ISTITUTO DOMENICO BERTI

ISTITUTO DOMENICO BERTI ISTITUTO DOMENICO BERTI «A scuola in una Torino spettrale in un inverno gelido e nevoso» SCRIVE Giovanna Chiesa Scalenghe, maestra torinese in pensione che abita a Giaveno. «Era una Torino spettrale quella dell'anno scolastico 1944-45: macerie ovunque, gli alberi dei viali abbattuti per fare legna da ardere, la fame, il gelo di un inverno particolarmente freddo e nevoso, il passo cadenzato dei tedeschi, gli allarmi e ci facevano correre in cantina... Eppure fu alla vigilia di un inverno così che molte di noi, adolescenti, ci conoscemmo per frequentare il primo anno dell'Istituto Magistrale Domenico Berti, ospiti della scuola Faà di Bruno in quanto la sede del Berti era stata bombardata. Nei mesi più freddi emigrammo in un alloggio di via Bogino 16. A primavera ritornammo alla Faà di Bruno e fino al 25 aprile ci recammo a scuola: ma fummo subito invitate a ritornare a casa in una città già deserta. Ci rivedemmo a liberazione avvenuta e ricordo che cantammo in cortile «Fratelli d'Italia». In autunno ci ritrovammo con qualche compagna in più, perchè molte famiglie erano tornate dallo sfollamento. I tre anni, dall'ottobre '45, al luglio '48, furono segnati da un crescendo di intesa e affetti tra noi: eravamo molto allegre e spiritose. L'incubo della guerra era cessato, ci ritrovavamo vive, giovani, con una gran voglia di divertirci, avevamo un buon rapporto con i professori. Chi non ricorda l'insegnante di francese che portava una parrucca su cui era fissato un cappellino con i fiori? 0 l'ottima insegnante di latino e storia che conosceva tutti gli alberi genealogici e le parentele delle case regnanti europee, e mentre parlava con eloquenza di Borboni, Asburgo e dei Savoia, si interrompeva perchè sentiva un «brusìo» provenire dai banchi della fila di destra, mentre si rideva nella fila di sinistra? O l'insegnante di scienze che suggeriva di mettersi due batuffoli di cotone nelle orecchie per scendere col treno da Bardonecchia a Torino. Invece il professore di matematica aveva un intercalare di «perciò», e quella di filosofia abbondava in «appunto» «non è vero» (Lucio, appunto, non è vero, Lombardo Radice). L'arte si faceva arnmirare con i professori di musica e di disegno; il monsignore che insegnava religione era seguito con attenzione e rispetto, e collegava la presentazione del mistero della SS Trinità ai versi danteschi: «Ne la profonda e chiara sussistenza dell'altro lume, parvenu tre giri di tre colori e d'una contenenza». La più giovane e vivace era l'insegnante d'italiano, tutt'ora vivente (auguri, cara prof. Seita!): erano insegnanti che davano alla scuola competenza e professionalità. Come mai a distanza di 50 anni abbiamo mantenuto così vivi questi ricordi? Perchè non ci siamo mai dimenticate; perchè periodicamente, ogni cinque anni, ci siamo ritrovate per un buon pranzo insieme; soprattutto perchè fra tutte noi la buona Titti ci ha tenute unite telefonandoci, scrivendoci, e, in questi ultimi anni, ospitandoci a casa sua ogni mese per un ottimo tè con pasticcini. Ecco perchè non dobbiamo lanciare inviti dalle colonne di TorinoSette per ritrovarci, e neanche dobbiamo fare fatica a riconoscerci: ci conosciamo da sempre. Abbiamo voluto raccontare la nostra storia: non crediate che nei nostri incontri piangiamo sulla giovinezza lontana o sulla Torino che era: rivederci significa alimentare la speranza di ancora lunghi anni insieme. a cura di Renato Scagliola a cura di Renato Scagliola

Persone citate: Asburgo, Borboni, Giovanna Chiesa Scalenghe, Lombardo Radice, Renato Scagliola, Savoia, Seita

Luoghi citati: Bardonecchia, Giaveno, Italia, Torino