BOB DYLAN
BOB DYLAN BOB DYLAN Bob Dylan, giovedì 9 luglio alle 21 (30 mila lire), apre il «Pellerossa Festival» al Parco Dalla Chiesa di Collegno. Dopo Dylan, il Festival prosegue il 14 con My Cat Is An Alien, Sonic Youth e Csi. A seguire: 15 Mau Mau, Goran Bregovic, Eagle Eye Cherry; 16 99 Posse e Buju Banton; 17 Madaski e Mouse On Mars; 18 Afterhours, MCR, Gomez; 19 «Green Age Festival»; 20 Tortoise e Prozac +; 21 luglio Chumbawamba, Skatalites. • E' quest'uomo che gira con la sua musica da anni, e niente può fermarlo. Ci ha provato un brutto male l'anno scorso a sbarrargli la strada, ma non c'è riuscito: pochi mesi soltanto e Mister Tambourine era ancora per strada a far le sue magie, con i suoi 57 anni che non cambiano mai, con gli occhi vivi e lucidi che sfuggono sempre, con quella voce amara come un gambo di carciofo che sembra venire non dalla gola, come tutti gli umani, ma da qualche misterioso organo situato dalle parti del naso. C'è questo piccolo grande uomo che era già una leggenda a 25 anni e avrebbe potuto smettere gloriosamente cento volte e comportarsi come i suoi coetanei, che fanno un disco ogni due anni e un tour ogni quattro, e per un mal di gola o un dito tagliato lo mandano a monte. Lui no, lui 80 sere all'anno fa musica e ogni sera cambia la scaletta: e state certi che se mai ascolterete due «Like a Rolling Stone» in due concerti vicini non saranno mai uguali, anzi, uno degli sport preferiti da costui è proprio il camuffamento dei brani più celebri, il ballo in maschera della sua storia. E' sempre andato per una sua strada solitaria, Bob Dylan, sotto una luna che solo lui vede, e gli altri a guardarlo, sospesi fra l'ammirazione e lo stupore, a chiedersi perché. Nessuno l'ha mai capito, «la risposta», come in quella canzone, «se la porta il vento». Forse perché è Gemelli e ha bisogno di essere uno e centomila: o perché è un grande, ostinato, leggendario bastian contrario, e quando il rock toccava l'apice lui si prendeva un anno sabbatico (1967, l'anno del «Sgt. Pepper's»!) mentre adesso che tutti invecchiano nella propria tana digitale gli sembra il tempo di sbattersi on the road come un ragazzino, o forse, molto semplicemente, perché i suoi maestri amatissimi, i Jimmie Rodgers, gli Hank Williams, i Woody Guthrie, i Blind Willie McTell, facevano così: suonavano e basta, si mettevano in gioco senza tante storie, si raccontavano tra fantasia e realtà. La musica può essere una semplicissima cosa, alla fine, ed è curioso che questo oggi lo insegni un artista celebrato a suo tempo per aver complicato le cose. Ma nel mondo dylaniano, si sa, nell'universo di chi venne definito «un enigma sormontato da un punto interrogativo», il paradosso è di casa. Eccone un altro, se occorre: colui che negli Anni 60 fu «il futuro» del folk e del rock, la massima avanguardia concepibile, oggi è l'anello forte che porta la tradizione popolare del '900 americano nel nuovo millennio. C'è questo Grande Vecchio che non fa più notizia, che non è mai stato un leader perché «mai seguire i leader», che in molti trattano come un anziano zio fissato, e un po' sopportano e un po' compatiscono. Un giorno lascerà le scene e solo allora, dal vuoto immenso che si aprirà sul palco, si capirà quanto è stato grande. E' già successo con i Miles Davis, i Mingus, gli Zappa. Quelle loro apparizioni frequenti e senza fanfare fino alle province dell'impero musicale, come l'Italia, sembravano la «normalità» e lasciavano tiepidi, ma non era così. Lo stesso per Dylan, ricordiamoci di ricordarcelo. Siamo di fronte a un tipo speciale, ogni sua sera di musica è qualcosa di unico e davvero, per usare una parolaccia in voga, è «un evento». Riccardo Bertoncelli Sopra, BahDykm, che apre il Festival Pellerossa il 9 luglio Sotto. Niccolò Fai» BOB DYLAN
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