UN AMANUENSE DELLO SPIRITO

UN AMANUENSE DELLO SPIRITO UN AMANUENSE DELLO SPIRITO NESSUNA». Com'è mirabile Giorgio Bassani rispondendo - siamo nel '64, sta per uscire Dietro la porta - a chi gli domanda: «Il Suo nuovo romanzo quale risposta intende dare e dà all'attuale stato di crisi del romanzo italiano ed europeo?». «Nessuna». Bassani è uno strenuo soldato di se stesso, della letteratura, incardinato e trasfigurato nell'opera. Crocianamente. Croce è la sua bussola. A Croce, non a caso, eleva un superiore pensiero licenziando i saggi Le parole preparate, «la continua, indiretta dichiarazione di poetica» che sono. «Non posso non ricordare la simpatia e l'indulgenza che il Croce, maestro di critica, di vita (e, a me, ani 2 di rettorica), ebbe sempre nei confronti della critica non professionale, in specie quella degli "artisti"». I personaggi di Bassani - in primis Micòl nel Giardino dei Finzi-Contini - «non aiutano a capire un'epoca, un mondo, la borghesia ferrarese alla fine degli Anni Trenta - come osserva Roberto Cotroneo, curatore meticoloso e guardingo di questo Me¬ ridiano -, ma rappresentano soltanto loro stessi». L'affrescatore del Romanzo di Ferrara non riconosce in Balzac un modello («Non mi importa nulla di dare un quadro generale della nostra società», dirà). Né è permeabile alla voga ideologica, all'ossessione di costruire una storia in sintonia con il tal ideale. Ognuno per sé, a sé. Ciascuno con la sua ferita indicibile (così s'intitola l'introduzione), con la sua privatissima porzione e pozione di Male, da fare e da subire. Perché - siamo all'epilogo dei Finzi-Contini - «anche in una città così piccola come Ferrara si riesce benissimo, volendo, a sparire per anni e anni gli uni agli altri, a convivere assieme come dei morti». Qui l'arte di Bassani: eternizzare (eternizzato egli stesso, inesorabile nel districarsi dal qui e ora), stagliare in una dimensione incorruttibile caratteri e cose. Di scrittura in ri-scrittura, di macerazione in macerazione. Illuminante il colloquio fra Giannina e il padre, ancora nei Finzi-Contini. «Perché le tombe antiche fanno meno malinconia di quelle più nuove?». «Si capisce - rispose -. I morti da poco sono più vicino a noi, e appunto per questo gli vogliamo più bene. Gli etruschi, vedi, è tanto tempo che sono morti - e di nuovo stava raccontando una favola -, che è come se non siano mai vissuti, come se siano sempre stati morti». La fabula di Bassani. Architettata - non sfugge a Cotroneo - alla maniera di un quadro (un quadro non d'ambiente, non psicologico, ma un quadro d'ombre montaliane, di presenze-assenze, non riconducibili al nostro momento, al nostro spazio). Un quadro di perfetta classicità, l'eco, ad esempio, di un Felice Casorati, tra i pittori intonati a Bassani (insieme con Morandi e De Pisis e Cavaglieli). «Vorrei saper proclamare la dolcezza di fissare sulla tela le anime estatiche e ferme, le cose mute e immobili, gli sguardi lunghi, i pensieri profondi e limpidi»: l'ambizione del Maestro torinese è la medesima del Maestro emiliano. Naturalista no. Crepuscolare no. Realista o neoralista ancora no. Giorgio Bassani agisce in un hortus mentale e metafisico. E' un amanuense dello Spirito. Ferrara per lui è come Lubecca per Thomas Mann: una forma di vita spirituale. «Lo Spirito, l'Amore (...) - è una lontana certezza del nostro scrittore - esistono di per sé, ben di là dal nostro cuore e dal nostro ventre. Come una volta, prima della rivoluzione freudiana, continuano imperterriti a rappresenta- re un valore autonomo, assoluto: l'unico in fondo davvero esistente». Ecco l'urgenza a cui Bassani obbedisce: «Esprimere la realtà intima e profonda» che lo abita. E' il compito dei poeti, di coloro, cioè, che hanno «una cosa profonda da esprimere». (Accetta, solo a patto «di non crederci troppo», la distinzione tra narratori, poeti, teatranti, saggisti, eccetera. Crede, veramente, solo nella distinzione tra poeti e non poeti. E poeta lo è pure in senso stretto, In rima e senza: «Odimi: io vivo, morto, libero come vissi»). Micòl (e Lida Mantovani e Bruno Lattes e Edgardo Limentani e Athos Fadigati) è rivelata da una discesa interiore. «Forse non c'era, di Micòl, neppure un modello reale vagamente somigliante» dubita Cotroneo (o forse sì, Caterina Tumiati). E magari sarà una banale «curiosità giornalistica chiedersi chi fosse veramente Micòl». Certo, flaubertianamente, Bassani sa che Micòl (e Lida Mantovani e Lattes...) c'est moi. Eppure ci si ostina a inseguire la fanciulla bionda «di quel biondo particolare striato di ciocche nordiche» nelle vie di Ferrara, astute come una pazzia, un estro, un segreto. Chissà: il sigillo dei Finzi-Contini, la «vocazione alla solitudine», potrebbe conoscere una pausa, una quiete, un respiro. Brano Quaranta

Luoghi citati: Ferrara, Male