PIZZUTO, UN POLIZIOTTO NELLA RETE DI JOYCE di Osvaldo Guerrieri

PIZZUTO, UN POLIZIOTTO NELLA RETE DI JOYCE PIZZUTO, UN POLIZIOTTO NELLA RETE DI JOYCE COSI' Antonio Pizzuto, Polistampa pp. 156. L. 24.000 RAPIN E RAPIER Editori Riuniti pp. 250. L 30.000 TRANO caso quello di Antonio Pizzuto. Riconosciuto da Gianfranco Contini scrittore «di prim'ordine», tradotto negli Stati Uniti, tanto amato in Francia da essere candidato per due anni al Prix International des Editeurs, questo narratore tardivo e spericolato, traduttore di Kant e profondo conoscitore di musica, è rimasto, da noi, una presenza nascosta. I suoi lettori non hanno mai formato un esercito, semmai hanno assunto la proporzione di un club e l'esclusivismo, forse il fanatismo, di una setta. Per loro, Pizzuto era un vertice, l'unico frutto che potesse vantare l'avanguardia italiana. Non sappiamo se lui si considerasse uno scrittore d'avanguardia, certo sapeva di reagire all'inerzia fotografica del naturalismo ottocentesco, istigato a quest'impresa dalla lettura di Joyce. Palermitano di nascita (1893), era stato per buona parte della vita un funzionario di Polizia, approdato alla carica di questore e alla vicepresidenza dell'Interpol. Scrivere era per lui un'attività secondaria, da pensionato, ma non per que¬ sto dilettantesca. Lo prova il fitto carteggio con Salvatore Spinelli, l'amico di una vita, al quale spediva in lettura i dattiloscritti e col quale ingaggiava dibattiti minuziosi che, dalla sostanza dell'opera di turno, si allargavano alle questioni estetiche e all'esame comparato degli autori più diversi. Quando finalmente cominciò a pubblicare (Signorina Rosina, Si riparano bambole, Ravenna, Paginette, Sinfonia, Testamento, fino all'incompiuto Spegnere le caldaie) conquistò affetto, provocò ammirazione, ma, così come s'accendeva, la fiammata dell'entusiasmo si spegneva. Sembrava un destino. Adesso due libri, pubblicati contemporaneamente da due editori diversi, rimettono in circolo la sua figura. Sono l'inedito Così (ammesso con un codicillo testamentario a una pubblicazione postuma) e il romanzo Rapin e Rapier. Si tratta di due storie minute e preparatorie dei grandi libri che verranno. In Rapin e Rapier (1944-48) si racconta di uno strillone che, partendo dalla Palermo di fine secolo, progetta la sua ascesa al potere in una Roma «imperiale» e ot- tusamente alla deriva. Così (1949-52) ci mostra il viaggio inesauribile di Ortodonte, un personaggio perplesso come Buster Keaton, alla perenne ricerca di un lavoro, sullo sfondo di una Roma mai nominata, ep- pure malignamente rappresentata. Che i due romanzi siano divertenti, buffoneschi, fragorosamente deformati, è fuori dubbio. Forniscono anche segnali preziosi di quello stile e di quel linguaggio che, con gli anni, si faranno più ardui, al limite della comunicabilità. Qui siamo in aria più godibile. Ma il minuzioso apparato storico, filologico e critico predisposto in entrambi i volumi da Antonio Pane, uno dei più attenti studiosi dell'opera pizzutiana, ci dà i giusti allarmi. Note, documenti, le lettere al caro «Totò» Spinelli ci spiegano come continuerà l'avventura e ci invitano a incontrare questo straordinario Puck della sperimentazione, questo folletto, questo poliziotto amaro, per il quale il romanzo, oltre che un procedere per frammenti e per balenii, era la vita della vita. Osvaldo Guerrieri Antonio Pizzuto riconosciuto da Gianfranco Contini scrittore «di prim'ordine» COSI' Antonio Pizzuto, Polistampa pp. 156. L. 24.000 RAPIN E RAPIER Editori Riuniti pp. 250. L 30.000

Luoghi citati: Francia, Ravenna, Stati Uniti