Morris balla con la new age

Morris balla con la new age Il geniale coreografo americano da oggi al Festival di Nervi Morris balla con la new age «Riporto i sentimenti in palcoscenico» GENOVA. «Béjart? Non mi è mai piaciuto. La mia filosofia della danza? Io la faccio, voi la guardate. Fine della filosofia». Fu un colpo nello stomaco per i giornalisti di Bruxelles, nel 91, la prima conferenza stampa di Mark Morris, allora giovane promessa della danza americana, chiamato da Gerard Mortier (su suggerimento del regista Peter Sellarsi per sostituire Béjart come direttore del balletto al Théàtre Royal de la Monnaie. Ha il gusto della provocazione, Mark Morris, il quarantenne coreografo e ballerino che da stasera al 10 luglio è con la sua compagnia al Teatro Carlo Felice di Genova, secondo importante appuntamento del Festival di Nervi. Se si fa fotografare da Annie Leibovitz si mette in posa nudo su un divano o accanto a Michail Baryshnikov, che lo apprezza molto come coreografo. Se danza preferisce i panni del vampiro come fa in «One charming Night», ispirato a «Intervista col vampiro», dove seduce a suon di morsi sul collo una ingenua fanciulla. Se deve coreografare il «Didone ed Enea» di Purcell riserva per sé il personaggio della regina Didone. Se affronta un classico come «Schiaccianoci» lo ambienta negli Anni 70, in una famiglia molto simile a quella in cui è cresciuto a Seattle. Mark Morris però non è importante soltanto per questo, ma perché è un grande coreografo, prolifico, musicale, pieno di inventiva. Il vero choc non sono queste provocazioni, ma l'effetto che la sua danza ha avuto su pubblico e critica quando comparve per la prima volta sul palcoscenico della Brooklyn Academy of Music a metà degli Anni 80: un piatto di peperoni piccanti per uno stomaco abituato alle minestrine col dado. «La danza deve prima di tutto esprimere, il gesto racconta. Coreografare significa creare atmosfere, situazioni, sentimenti. Non mi interessa l'astrazione», sostiene convinto Morris. E fu questo lo choc che provocò sulla scena newyorkese: un'overdose di narrazione dopo oltre venti anni di danze astratte e minimaliste con Merce Cunningham, Lucinda Childs e compagnia. Un ritorno ai grandi temi impegnati di Martha Graham o José Limón? «Non rifiuto l'etichetta di erede della modern-dance, ma il mio stile va oltre la grande esperienza della danza americana degli Anni 30 e 40. Io vengo dopo il minimalismo, non posso non tenerne conto». La sua, dunque, è una gestualità ampia, magniloquente, pronta a cadere nel kitsch, ma sempre tenuta a galla dall'ironia, e soprattutto variegata, polistilistica: «Come ballerino ho avuto una formazione molto complessa: flamenco e balletto classico, folklore balcanico e danza moderna. Quando faccio dan¬ za ricorro ad ogni stile. Ma i miei non sono ' pastiche", sia chiaro. Quel bagaglio nutre la mia creatività». Una creatività che si esprime spesso su musica vocale, che siano brani rock delle «Violent femmes» o i madrigali di Monteverdi: «Non c'è nulla di più espressivo dell'unione di musica, canto e danza: tre elementi che si fondono per trasmetterci delle emozioni». E certamente questo amore per il canto gli deriva, ancora una volta, dalla formazione avuta da ragazzino a base di dosi massicce di flamenco che proprio questi elementi vede uniti. Una ricetta che ritorna spesso nella musica barocca, suo grande amore: «Il barocco ha una struttura musicale molto rigorosa, ma al tempo stesso libera una enorme quantità di emozioni, è altamente espressivo, comunica sentimenti nobili, alti, passioni divoranti». Come l'amore di Didone per Enea. O come «I don't want to love», uno dei balletti che presenta a Genova, che prende il titolo da «Non voglio amare», il primo di una collana di madrigali su cui danzano sette ballerini con i costumi bianchi di Isaac Mizrahi. Gli altri due brani in programma, invece, sono costruiti sulla musica di Lou Harrison, ottantenne compositore americano: «"Grand duo" - spiega Morris - è stato definito una "Sagra della primavera new age", ed è vero che c'è qualche cosa di tribale e di antico. "Rhymes with Silver" è un brano altamente spettacolare, di 45 minuti, che impegna tutta la compagnia, si avvale del fondale del pittore inglese Howard Hodgkin, si nutre di ispirazioni orientali». Normale per un coreografo nato sulla West Coast bagnata dallo stesso Pacifico che bagna l'Asia. Sergio Trombetta Rinnova la danza con la provocazione tra vampiri e travestimenti Brani spettacolari di Monteverdi Lou Harrison e costumi di Mizrahi Mark Morris qui in un momento di «Striptease» balletto in cui tutti i danzatori della sua compagnia si spogliano sino al nudo integrale

Luoghi citati: Asia, Bruxelles, Genova, Seattle