Maccari, un maestro dell'indisciplina

Maccari, un maestro dell'indisciplina Cent'anni fa nasceva il grande disegnatore satirico. Lo ricordano una mostra e un sorprendente epistolario Maccari, un maestro dell'indisciplina Così scriveva a Morandi e Cremona ■w t GROSSETO N maestro di indisciplina, lo definisce felicemente 11 I Alessandro Parronchi nel^ 1 l'appassionata arringa che apre il catalogo curato dalle Edizioni Pananti per questa retrospettiva del centenario. Maccari paradossale Padre Sarcastico della Patria, che con i suoi acidi corrosivi l'ha resa meno ottusa e filistea, con quel suo trionfale e beffardo «attraversamento del fascismo sulla barca di Strapaese». E come non essere d'accordo? Chi ha conosciuto un poco l'irsuto cinghialetto del Cinquale, con quella mano rapida e malandrina, che sembrava pensare da sola senza contatti elettrici con il divagante cervello e che correva ratta alla matita gonfia di sarcasmo e di veleni, come ben sapevano i lettori de La Stampa a cui Maccari lungamente collaborò, ebbene chi l'aveva incontrato anche poche volte sa che Maccari era una macchina pirotecnica di smontaggio dei luoghi comuni, un'inarrestabile mitragUetta di malignità e facezie, ma issata su una tenera, friabile fortezza impastata nella gentilezza d'animo e nella calce spenta di un'inconfessata dolcezza. Ed è proprio quello che sempre più spesso si scopre, addentrandosi nella ricca foresta della sua corrispondenza, che ci rivela un Maccari assolutamente inedito di carattere ed imprevedibile, rispetto alla carica feroce e ustionante della sua pittura. Sì, un Maccari gentile, sollecito, affettuoso, preoccupato di farsi portatore di genuflessioni domestiche («i miei mi dicono di fare a tutti voi i migliori auguri di Pasqua»), senza dimenticare mai Mamme e Sorelle scolpite nella penombra di case corteggiate dalla miseria e di moltiplicare generose strette di mano assai poco littorie. Soprattutto quando l'interlocutore si chiama Morandi ed è un artista su tutti stimato e riverito, pur nel generale disinteresse della critica e spesso anche dei galleristi (mentre volentieri, invece, in queste sobrie epistole di sostegno morale ed umili richieste di consigli, si affacciano sconosciuti appassionati-collezionisti che pendono letteralmente dalle bave delle tele proibite di Morandi). Proibite, perché il grande melanconico di via Fondazza, è subito pronto a spegnere quelle illusioni azzardate: «Sono molto dispiacente di non poter favorire il signor Scamperle perché in questo tempo non ho lavorato. Spero di potermi rimettere a dipingere. Oggi ho finito gli esami». Su tutto pesa la serietà del docente, che trascura la sua arte per far bene il proprio mestiere. Ma c'è anche una componente caratteriale. Che lo lascino in pace tutti quei seccatori che presiedono Biennali o Triennali: «Io però non ho nessuna voglia. Non puoi credere cosa sarebbe per me penoso dover rivedere e cercare le vecchie cose. L'unica cosa che desidero è di poter lavorare un po' tranquillo. Quest'anno non manderò neppure a Venezia perché lavori pronti e che mi soddisfino non ne ho. E questo è per me un sollievo». Conferme di temperamento, ma anche sorprese in questo manipolo di lettere inedite che Marilena Pasquali ha tratto dal ricco epistolario con Morandi (oltre 200 lettere che andrebbero fatte finalmente conoscere) o quelle con Italo Cremona, più scanzonate (almeno 1200) di cui Danila Cremona ci offre un assaggio insieme a un divertente stralcio sulle cassiere-surreali di Torino. Torino sempre sullo sfondo, («Dove ci sono grammofoni, vecchi studi da pittori e quant'altro. Ci staresti da papa e non andresti più via») mentre Bologna sonnecchia, polverosa e silente. Ma ecco uno squillo: il premio a Morandi da San Paolo del Brasile. «Sei "mondiale". Il fatto che ti si riconosca, sia pur tardivamente, dimostra un po' di giudizio (...) nella disonestà e truffoneria generale». Se con Morandi Maccari mantiene sempre un certo rispettoso di- Due odi fianco u stacco, al «fratellone» Cremona, questo «Jacques Villon con numero di telefono» non lesina confidenze, su questi «annacci schifosi» e duri. Sono gli anni della Bussola di Carniccio e Becchis, del «maiale Mollino», grandi risparmi su cornici e acquaragia, e la speranza nel cinema come panacea economica. Passando gli inverni a letto «coi piedi in mano, il più possibile sotto le coperte: così fumo meno e non sciupo i vestiti». «Io non so come ha fatto mia moglie a fare la spesa questo mese». E se la camera ha il bidet manca la luce. Ma c'è ammirazione e solidarietà: Cremona ha un tratto «di pretta marca tedesca e cocteauiana», Maccari «è un universo. Io vedo in te Germania e Giappone» e pazienza se «la stampa ha fatto un po' schifo». Alle vernici arrivano tutti, De Chirico, Turcato, Afro, Donghi, Melli, Sinisgalli, peccato soltanto che «il capitale è in così cattive mani». wm Due opere di Mino Maccari esposte a Grosseto: sopra il dipinto «I portantini» ( 1954) di fianco un Autoritratto del 1935. In basso, da sinistra, Italo Cremona e Giorgio Morandi i due pittori con i quali Maccari scambiò una fitta e affettuosa corrispondenza

Luoghi citati: Bologna, Brasile, Germania, Giappone, Grosseto, San Paolo, Torino, Venezia