La pace è un bene fragilissimo. Per i mafiosi un sito su Internet

La pace è un bene fragilissimo. Per i mafiosi un sito su Internet lettere AL GIORNALE La pace è un bene fragilissimo. Per i mafiosi un sito su Internet Un lungo periodo dì non guerra Il periodo che va dalla Seconda guerra mondiale a oggi coincide per molti popoli, fra i quali il nostro, a uno dei più lunghi periodi di democrazia e di pace. Il che non corrisponde al trionfo della giustizia, come sappiamo. Con la loro vergognosa e incontenibile smania di potere gli uomini hanno sempre vissuto tra rivoluzioni incandescenti e piccoli focolai non meno terrificanti. Oggi la situazione è diversa: la conquista dei diritti civili e delle libertà ha trasformato la vita di milioni di persone, che ieri cadevano sui campi di battaglia, in un'odissea di complesse e rischiose peripezie, che molte persone però riusciranno fortunatamente a raccontare ai nipoti. Questa situazione di non guerra, questa esistenza più dolorosa che eroica, durerà ancora per molto oppure eloquenti sintomi politici (o d'altro genere) stanno rilevando e rivelando la fragilità della pace? Fabio Sicari, Bergamo Il carcere non diventi una supercupola Ho letto sulla Stampa del 28 giugno l'articolo di Lorenzo Mondo «I falsi redentori di boss e criminali» e lo condivido completamente. In questo nostro Paese sembra infatti, per quanto concerne la formulazione e l'attuazione di leggi e regolamenti atti a reprimere la criminalità, di assistere a tendenze e strappi che si alternano in direzione opposta quasi a voler compensare la spinta in un senso con un'altra in direzione antagonista. Volontà di garantire una sostanziale immobilità mascherata da efficientismo progressista? Incapacità di gestire le misure, teoricamente buone finché non si giunge all'attuazione pratica? Certamente la contraddittorietà tra alcune innovazioni tanto esaltate dai media (vedi il 41 bis, l'adozione delle videoconferenze ecc.) e poi all'atto pratico la realtà di boss mafiosi, che con beffarda fantasia tra- sformano il loro carcere duro in una sorta di supercupola, donde, mediante cellulari (già siamo in un carcere) progettano ed ordinano stragi ed altre imprese delittuose, utilizzando anche i bambini come staffette portaordini, oppure, e questo raggiunge proprio l'apoteosi della beffa, lo scavo nell'aula bunker del processo, di un tunnel per la fuga dei malavitosi, lascia veramente sgomenti. Di fronte a questa grottesca e penosa realtà italiana ecco avanzare le schiere dei redentori ad ogni costo, come li chiama Mondo, che con spirito missionaristico da esercito della salvezza (assolutamente incuranti di chi non ha nessuna intenzione di salvarsi) tuonano per l'attenuazione del 41 bis (forse oltre al cellulare ed ai figlioletti staffetta-portaordini, bisognerà assicurargli il computer con un sito in Internet) e per l'elimiiiazione dell'ergastolo. Vien da chiedersi se vi è una precisa volontà di demolire ogni maldestro tentativo di maggior rigore oppure se tutto rientra nel menefreghista dilettantismo italiano, sprovvisto di una seria professionalità. Penso anche alla legge Gozzini (spesso mal interpretata ed applicata) ed ai criminali che, con allegra pervicacia, hanno reiterato i loro crimini approfittando di Licenze premio per buona condotta (!). Dopo aver letto con orrore i dialoghi intercorsi fra i componenti della banda che ha rapito la signora Sgarella, ed intercettati dalle forze dell'ordine, penso che i redentori ad ogni costo dovrebbero prima di tutto pensare a tutelare, quella sì ad ogni costo, la vita della sventurata signora Sgarella e di tutte le altre potenziali vittime di tali efferati criminali. Vittorio Crepaldi Venezia Orfani, l'adozione meglio dell'Istituto Nell'articolo dell'8 giugno «I diritti dei figli artificiali», Gianni Vattimo sostiene che «essere figli di nessuno non piace a nessuno, soprattut- to in un mondo dove molte delle opportunità di vita dipendono ancora, nonostante tutte le democratizzazioni, dal come si nasce». Ciò è vero solo in parte, in quanto la condizione di gran lunga più devastante per un bambino è quella di essere ricoverato in istituto. Ve ne sono ancora 30-40 mila (a dimostrazione del disinteresse del¬ le autorità preposte non esistono statistiche attendibili!) nonostante che da 50 anni ne siano scientificamente note le nefaste conseguenze, spesso irreversibili, sullo sviluppo psico-fisico dei fanciulli. L'aspetto più preoccupante dei bambini nati a seguite di fecondazione naturale o artificiale non è quello di non essere accolti da nes- suna delle persone coinvolte con la sua procreazione, ma di dover subire l'anonimato di un istituto o di un ospedale. In Italia, se i servizi assistenziali e sanitari rispettassero le leggi vigenti ed i Tribunali per i minorenni le applicassero con la dovuta tempestività, non ci sarebbero bambini senza famiglia. L'adozione ha, infatti, lo scopo di dare una famiglia materialmente e moralmente uguale a quella biologica ai minori che ne sono privi. Inoltre vi sono 20 domande per ciascun bambino adottabile. Non convince la proposta avanzata da Gianni Vattimo di obbligare coloro che ricorrono alla fecondazione artificiale a sottoscrivere preventivi impegni di provvedere al bambino. Infatti, se le promesse sottoscritte non vengono rispettate, è il bambino rimasto senza nessuno che •soffre per le gravi conseguenze della solitudine affettiva. Al bambino non servono documenti anche formalmente corretti, né l'imposizione di genitori che non lo vogliono: ha bisogno non solo di essere alimentato, ma anche di essere amato. Francesco Santanera, Torino C.S.A., Coordinamento Sanità e Assistenza fra i movimenti di base Non credo che ci sia disaccordo tra le mie proposte e quelle del lettore. Sono anch'io convinto che l'interesse del bambino - figlio «naturale» o «artificiale» che sia - è quello di avere una famiglia che lo accolga e lo accompagni non solo sul piano economico, ma soprattutto affettivo. Il senso della mia proposta era questo: non importa da dove si viene, come si nasce; importa come si vive una volta al mondo. Perciò, qualunque sia il modo della nascita, ciò che la legge deve fare è garantire questo aspetto del diritto del bambino. Talvolta ho l'impressione che, mentre per la riproduzione familiare non si fa abbastanza su questo piano (nessuno pretende un esame preventivo da chi vuole fare figli), nel caso dell'adozione e, ora, della fecondazione assistita, si pretenda di legiferare troppo. Il gran numero di bambini che ancora vivono negli istituti mentre ci sono tante coppie e single ansiosi di adottare mi pare che provi proprio questo: dai genitori non «naturali» si pretende molto di più che dalla famiglia naturale. Non sarà anche questo una conseguenza del pregiudizio secondo cui la «natura» è sempre buona, quando tanti esempi indicano il contrario? Gianni Vattimo Il chador di Flavia Prodi A proposito del breve articolo sul chador di Flavia Prodi (5 luglio), posso assicurare che anch'io, quando ne lessi sul giornale, provai rabbia, indignazione. Quale mai moglie di capo di governo occidentale, o meglio, quale mai donna che sia una donna, avrebbe accettato una tale umiliazione? Oppure, mascherata per mascherata, perché non si è messa piuttosto la grata sugli occhi e il mantellone delle donne afgane? Posso rispondere io a Livio Maitan, quando chiede perché nessuno ha parlato del chador con cui Flavia Prodi si è presentata a Teheran: perché nessuno l'ha riconosciuta; perché tutti hanno pensato che quella signora avvolta nel cencio nero, fra Prodi e il primo ministro, fosse un'interprete iraniana. Anna Maria Stefani Pietrasanta (Lu) Nessun incarico a Sergio Cusani A differenza di quanto scritto nell'articolo «Ma don Verzé prepara lo sbarco nella capitale», la direzione della clinica San Raffaele di Milano mi fa osservare di avere già smentito nel giugno 1994 ogni eventuale incarico a Sergio Cusani. Me ne scuso con gli interessati. [fra. gri.j

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