«Mi metteva fretta: l'ho uccisa» di Vincenzo Tessandori

«Mi metteva fretta: l'ho uccisa» Livorno, il caporale aveva confessato a un commilitone il delitto della «lucciola» ucraina «Mi metteva fretta: l'ho uccisa» //para: ma non sono un killer di prostitute LIVORNO DAL NOSTRO INVIATO Com'è amara la sconfitta, quando ha gli occhi azzurri e dolci e i capelli biondi. Com'è dura, quando lei non ti sorride più e ti chiede, con fastidio: «Ma non hai ancora finito?» e tu vorresti che certi momenti non finissero mai, Rith Paccosi era un ragazzo fortunato. Paracadutista, caporale della Folgore, Corpo d'elite, a 23 anni aveva partecipato alla missione Alba, a Tirana, quando la città pareva spaccarsi e il Paese era un vulcano. Con gli altri berretti amaranto era stato all'aeroporto di Rinas dove il kalashnikov imbracciato da un cecchino di tanto in tanto ti ricordava che anche la tua vita era appesa ad un filo. Un ragazzo baciato dalla fortuna. Era nato in Cambogia quando il Paese era un inferno: e ora che ha ucciso, gli psichiatri tentano di capire se lui ricorda qualcosa. Era stato adottato da una famiglia fiorentina. Aveva trovato tutte quelle premure e quelle attenzioni che un bimbo sogna. Con il cordone azzurro che quando indossa la divisa tiene sulla spalla e dà un tono così marziale, ha strangolato Antonina Semenko, che di anni ne aveva 19, era ucraina e fortunata non lo era mai stata. Prostituta, già con un tremendo futuro dietro alle spalle. Batteva sull'Aurelia, quasi all'imbocco dell'autostrada per Firenze. I suoi padroni avevano stabilito la quota che doveva portare ogni volta che il sole tornava a sorgere e per poter raggiungere la cifra, i tempi degli incontri erano cronometrati. Sgarrare significava essere picchiati, feriti, umiliati. E minacciati: la bionda Antonina una sera l'aveva pizzicata la polizia. Avrebbe dovuto tornarsene a casa, ma l'organizzazione non l'aveva fatta partire, l'aveva nascosta per qualche settimana e poi ributtata sul ciglio di quella strada così frequentata e quindi «ricca». Per lei, Rith Paccosi non aveva volto, e forse era anche così per il para. O forse no, forse lui aveva cercato un po' di tenerezza, si era attardato. Ma lei lo sapeva che non si poteva trattenere, e lo aveva risvegliato: «Non hai ancora finito?». Lui l'ha ammazzata per questo, che è quasi come dire che l'ha uccisa senza una ragio¬ ne. Sabato notte, la notte più a rischio per le lucciole, dicono le statistiche. L'ha scaricata dall'auto lì, in zona Madonna dell'Acqua. Poi è scappato sulla sua Opel Tigra. Senza voltarsi, ma quando ha visto la borsetta della ragazza l'ha scaraventata fuori dal finestrino. Fino a quel momento era un assassino senza nome: già altre tre ragazze, dalla primavera ad oggi, sono state assassinate. La prima a Viareggio, l'hanno strozzata. L'altra vicino a Pisa, e l'hanno strangolata; una terza a Lucca, anche lei strango¬ lata, e poi bruciata. E il sospetto che un mostro, uno dei tanti, si aggiri fra le pinete e le colline si è fatto concreto. Ma Rith Paccosi non sembra un mostro, anche se ora alla Folgore si dicono «esterrefatti». «Il fatto è che quando accadono certe cose, e non puoi non rimanere sorpreso, vuol dire che non sei riuscito a prevenire, che non hai capito, che non ti sei accorto di niente», osserva il tenente colonnello Maurizio Fioravanti, capo di stato maggiore. E aggiunge: «E speriamo che le cose si limitino a questo dramma, che non ci sia dell'altro». Perché lo sa, l'ufficiale, che gli inquirenti frugano ed interrogano il caporale assassino nella speranza che confessi altro. Intanto c'è questa operazione, una brillante operazione di investigazione, si direbbe: scoperto il cadavere nel giro di qualche ora preso l'uccisore, reo confesso. Il fatto è che Rith Paccosi aveva già raccontato tutto ad un altro caporale, uno che come lui sta alla caserma Vannucci. E quello non ha capito se il racconto fosse vero, se quella confessione di omicidio fosse una balla. Ci aveva pensato, nella notte, e poi aveva deciso che l'orse era meglio raccontare tutto alla polizia. Così, a sua volta, aveva chiamato un agente amico. Nel suo racconto Rith Paccosi era stato preciso: il corpo è lì, la borsetta poco più avanti. Dunque, una brillante operazione di polizia. Alla Folgore sperano che questo fatto non si trascini dietro i fantasmi che inseguirono i baschi amaranto dalla Somalia, quelli che nessuno è riuscito a dimenticare. E poi c'è un omicidio che ha tolto il sonno a parecchi: quello del sergente Marco Mandolini, assassinato a coltellate e a colpi di pietra nel giugno del '95 sulla scogliera del Romito. Mandolini era un professionista, in Somalia era stato la guardia del corpo del generale Bruno Loi. Chi lo ha ucciso doveva essere bravo almeno quanto lui, nelle arti marziali e col coltello. L'altra settimana suo fratello, Francesco, ha concluso qui, davanti alla caserma, una marcia di 450 chilometri durata undici giorni. Non si rassegna, lui. Tanto meno ora, che ha ricevuto ima lettera senza firma nella quale gli raccontano come il para fu ammazzato proprio qui, in caserma, e poi portato in riva al mare. «Abbiamo dato il documento agli inquirenti, hanno riaperto il caso. Speriamo...». Vincenzo Tessandori «Cercavo tenerezza, ma lei non voleva stare un po' di più con me Con gli altri delitti nella zona però non ho nulla a che fare» Il luogo del delitto e Rith Paccosi, il paracadutista arrestato

Luoghi citati: Cambogia, Firenze, Livorno, Lucca, Pisa, Somalia, Tirana, Viareggio