«La legge di profitto e potere»

«La legge di profitto e potere» L'EX PIVI AYALA «La legge di profitto e potere» «Così funzionava il circuito perverso» PASQUALE Costanzo, quello mi pare di ricordarlo». E lo ricorda sì, Giuseppe Ayala, oggi sottosegretario alla Giustizia, ma fino al '91 sostituto procuratore a Palermo, quel Costanzo «con i baffoni, braccio operativo della sua azienda, quello che andava ogni giorno nei cantieri, s'intende». E come se lo ricorda? «Lo interrogammo a lungo, Giovanni Falcone ed io, in più occasioni. Una persona molto intelligente, fra l'altro». Come finì? «L'inchiesta passò per competenza a Catania. Ma non mi chieda come è andata a finire perché non ne ho saputo più niente». Senza voler fare amarcord, ma quando, alla procura di Palermo, si cominciò a lavorare su appalti e politici? ((All'inizio indagini significative non ce ne sono state, e le parlo dei primi Anni Ottanta, semplicemente perché fino al 1984 eravamo completamente al buio». E nel 1984? «Fu l'anno in cui arrivò Buscetta. Lui ci accese una luce. Anzi, un faro. E cominciammo a capire qualcosa. Ma non poteva che essere così. Lo sospettavamo, lo teorizzavamo, lo intuimmo prima e cominciammo a verificarlo in seguito». Chi? «Il pool, cioè Falcone, Borsellino, Di Lello, Guarnotta, Natoli, Caponnetto, ed io. Tutte le volte che ci penso, penso che è stato un grande privilegio lavorare con loro. E quel metodo di lavoro funzionava, perché in due si ragiona meglio, ma in quattro o cinque si ragiona benissimo, si capiscono le cose. Poi ci fu il maxiprocesso, e lì il nostro bagaglio di conoscenza sulle nuove strutture della nuova mafia diventò un punto fermo. Lì capimmo moltissimo». Gli appalti e i politici, è così? «Sì. Il nostro ragionamento era chiaro. Lo scrissi nero su bianco anche in un saggio su Micromega, ottobre '87. Siccome Cosa nostra esiste con la finalità di fare soldi, si attiva quello che io battezzai "il circuito perverso", composto da due elementi: profitto e potere. Tanto più il profitto aumenta, tante più occasioni di potere si ottengono. E viceversa. E in una realtà come quella siciliana, quel denaro illecitamente lucrato, una volta riciclato, segue gli stessi percorsi di quello lecito, cioè viene reinvestito per assicurare nuovi profitti. Ma la Sicilia non è il Nord-Est. In Sicilia il pilastro fondamentale dell'economia (asfittica) sono i tanti miliardi che lo Stato spende per le opere pubbliche. E' lì che si salda il circuito, e si crea il patto scellerato tra parte della classe politica e burocratica, l'imprenditoria non sana...». ... e la mafia. Oggi, luglio 1998, questo ragionamento è dimostrato dagli sviluppi dell'operazione "Trash". Ma allora, Anni Ottanta, come reagì l'opi¬ nione pubblica? «Malissimo. Erano anni di furiose polemiche. Ricordo quella sulla Borsa di Milano. Noi sostenevamo che era inevitabile che i soldi riciclati della mafia finissero alla Borsa di Milano, o a quelle di Hong Kong e Francoforte. Io dissi che la vera notizia sarebbe stata che i soldi mafiosi "non" fùùvano a Milano. Successe un putiferio. Sembrava che volessùno intaccare il prestigio della principale Borsa d'Italia. Invece era solo un segnale d'allarme». Che venne ascoltato? «Subito no. Ricordo un convegno a Palermo, sempre in quegli anni, sul riciclaggio. Altre polemiche, che ci sorpresero molto. Noi chiarimmo sempre che non si trattava di permeabilità alla mafia di un solo partito o di tutto un partito, ma che c'erano degli agganci con dei pezzi di partiti. E forse allora qualche politico non si rendeva neanche conto che decidendo in un certo modo su un appalto poteva favorire la mafia. Ma per il resto, quello tra Cosa nostra e alcuni politici è uno sposalizio che è funzionato benissimo». E oggi, cosa significano questi arresti? «Confermano quella che era una realtà ben nota, al di là dei nomi. Con una differenza: allora non c'era coscienza del fenomeno mafioso, oggi sì. Ma ci sono volute le stragi del '92, perché la gente capisse». Brunella Giovara «Quando denunciammo questo patto l'opinione pubblica reagì malissimo Ci sono volute le stragi perché la gente capisse» m Giuseppe Ayala