Quel pozzo nero del Sud pieno di lavori e miliardi di Francesco La Licata

Quel pozzo nero del Sud pieno di lavori e miliardi IL BANCHETTO DEI BOSS Quel pozzo nero del Sud pieno di lavori e miliardi OPALERMO UALCUNO probabilmente un investigatore particolarmente salace, ha voluto che all'ultimo repulisti compiuto nella palude palermitana e trapanese fosse dato un nome: trash, cioè «spazzatura». Forse la scelta di un termine così significativo è stata determinata dalla presenza - tra gli appalti concordati fra politici disinvolti e mafiosi sempre più famelici - del progetto di ampliamento della discarica di Bellolampo, luogo immondo dove si ammassano tutti i rifiuti di Palermo. Forse - non sappiamo - la fantasia dell'anonimo è stata alimentata da sdegno moralistico per essersi trovato, ancora una volta, a metter le mani nel pozzo nero della cosiddetta tangentopoli siciliana. La quale è cosa ben diversa dall'omonimo fenomeno che ha infestato (e infesta) la più fiorente economia del CentroNord e fa tanto discutere autorevoli commentatori. Al Sud, in Sicilia particolarmente, la corruzione assume le connotazioni del territorio, parla la lingua indigena, adotta metodi e sistemi assimilabili alla subcultura del luogo, direbbe l'antropologo. Cioè, i tangentari spesso sono pure uomini d'onore e, se vengono in conflitto, uccidono. Questo deve essere chiaro, per poter agevolmente districarsi nel panorama disegnato da questa ennesima inchiesta della Procura antimafia di Palermo. E questo avrebbero dovuto tenere in considerazione quei politici, quegli imprenditori che hanno accettato, nel tempo, di sedersi attorno al «tavolino» (la definizione è deU'«autorevole» ministro dei Lavori pubblici di Cosa Nostra Angelo Siino) con uomini come Runa e Provenzano. Ovviamente nessuno è in grado di anticipare giudizi sulle persone - politici, imprenditori, tecnici, burocrati - finite in carcere ieri mattina all'alba. Sai-anno i magistrati ad individuare le singole responsabilità. Ma ciò non può cancellare la semplice realtà, ormai consolidata da mille inchieste, che la Sicilia è stata teatro di una insana convivenza: da un lato Cosa Nostra, onnivora e sanguinaria, dall'altra politici ed imprenditori schiacciati nel ruolo passivo di corresponsabili di un sistema che è durato tanto da mettere a rischio, oggi, qualunque serio tentativo di affrontare la «questione meridionale». Già, come fare a portare al Sud il capitale privato, senza esporlo all'aggressione della mafia? Far decollare il Meridione d'Italia oggi vuol dire sostanzialmente essere in grado, innanzitutto, di garantire sicurezza. E' possibile ciò, malgrado la presenza di ottantamila uomini distribuiti fra Calabria, Sicilia e Campania? Non è facile, se le cose stanno come dice il procuratore aggiunto di Palermo, Luigi Croce: «Molte imprese del Nord hanno contribuito all'inquinamento della libera concorrenza nel settore degli appalti pubblici in Sicilia controllato da sempre da Cosa Nostra». E poi: «Nessun rappresentante legale di grandi imprese che hanno eseguito lavori in Sicilia ha mai denunciato minacce o richieste di pizzo. Hanno sempre pagato tangenti ai politici e corrotto funzionari». Storia vecchia, quella dei lavori pubblici. L'esistenza di un «sistema» siciliano è stata confermata da protagonisti delle diverse stagioni politiche. A partire dall'ex sindaco de Vito Ciancimino, per finire al collaboratore di giustizia Angelo Simo, passando per le ammissioni di uomini come l'imprenditore Filippo Salamone o l'ex presidente della Regione, Rino Nicolosi, che non ha potuto negare come le tangenti fossero addirittura diventate una sorta di collante necessario per la stabilità di governo. C'è qualcuno che può ancora dubitare del ruolo che Cosa Nostra ha avuto nella vita politica ed economica della Sicilia? C'è bisogno di un dibattito per accettare che l'omicidio dell'eurodeputato Salvo Lima, assassinato il 12 marzo del ) 992, trova la sua «spiegazione logica» nel ruolo che il parlamentare esercitò per quasi un trentennio proprio nell'ambito della spartizione della spesa pubblica e della speculazione? Chi ha vissuto in Sicilia ricorda che persino guerre di mafia sono state originate da scontri di interesse che l'amministrazione pubblica non riusciva a dirimere. Negli Anni 60 gli appetiti erano rappresentati dalle aree edificabili: un «aggiustamento» dell'ufficio tecnico del Comune significava lucrare miliardi. Si abbattevano nottetempo le ville liberty per far posto ai casermoni di grassi costruttori finanziatori di partito. L'Assemblea regionale siciliana «legiferava» (còsi si esprimeva anche il più ignorante degli uomini d'onore) ed erano miliardi a pioggia. Alla fine degli Anni 70, l'assassinio dell'ufficiale dei carabinieri Giuseppe Russo portò alla luce lo scandaloso sistema con cui gli esattori Salvo di Salemi (disponevano di un «proprio deputato» spesso investito della responsabilità di assessore) ottenevano finanziamenti regionali. Ecco, in quella inchiesta affiorarono una serie di nomi. In testa quello ancora semisconosciuto di Salvatore Riina, già titolare di alcune imprese che «lavoravano» a pieno ritmo proprio nel territorio del Trapanese, oggi tornato alla ribalta. Molti di quei nomi, a distanza di quindici anni, li ha rifatti 0 pentito Angelo Siino. Stavano lì, indisturbati a macinare denaro. Chi fece, invece, il nome delle ùnprese di Riina (la Ri.Sa.) non c'è più. Il gior- nalista Mario Francese fu ucciso nel 1979, in gennaio. Due mesi dopo toccò a Michele Reina, segretario provinciale della de, che coi corleonesi non aveva buoni rapporti. Già all'inizio degli Armi Ottanta, attorno al «tavolino» si erano seduti anche i socialisti e persino qualcuno dell'opposizione di sinistra, Giovanni Falcone affermava che «tutti gli appalti pubblici, miche quelli vinti dalle grandi imprese» erano controllati da Cosa Nostra. Il «gioco» è durato per anni. Dura ancora, a dar credito all'esito delle investigazioni. La deflagrazione che ha sconquassato la prima Repubblica ha indotto personaggi e interpreti a mimetizzarsi. Formazioni elettorali «fai da te», movimenti indipendentisti, nuovi partiti e partitini lanciano in orbita nomi che si credevano tramontati. Il risultato non cambia: Riina è in galera? Bene, la «cosa» passa in mano a Provenzano. Non era forse lui che, stando al collaboratore Gioacchino Pennino, decideva sulle liste elettorali della de nei favolosi anni Settanta e Ottanta? Una cosa non cambia, anzi si adegua all'inflazione: la percentuale fissa. No, la fine di Cosa Nostra non è vicina. Francesco La Licata Da una parte la Piovra onnivora e feroce dall'altra politici e imprenditori schiacciati nel ruolo passivo di corresponsabili L'arresto di Francesco Calderonello ex presidente della Provincia