Mani americane sull'Eiffel di Enrico Benedetto
Mani americane sull'Eiffel Il sindaco di Parigi ajospin: non vendere il nostro simbolo agli Usa Mani americane sull'Eiffel BPARIGI ELLA e numinosa, vista eccezionale, notissima urbana Torre offresi Americani danarosi: rivolgersi ingegner Eiffel lasciando estremi». Un'inserzione siffatta non la leggeremo mai. Eppure la Tour Eiffel è, almeno teoricamente, in vendita. E proprio una società Usa rischia di aggiudicarsi i 18.038 pezzi che 2,5 milioni di chiodi assemblano facendo svettare le 10 mila tonnellate di ferro a 318,7 metri. Parigi, che già regalò a New York la Statua della Libertà e ne conserva solo un modello in scala, starebbe per alienare oltreoceano la «grande giraffa a merletti», liquidando così il suo principale simbolo? E' lo stesso sindaco della capitale a paventarne l'eventualità in una lettera al ministro dell'Economia. Entro la prossima settima¬ na, il governo dovrà in effetti pronunciarsi sulla vendita del Crédit Fonder de France alla finanziaria statunitense Gmac. E il Ccf controlla la società che gestisce la lucrosa torre, su cui si avvicendano ogni anno cinque milioni di visitatori, a caccia del più classico souvenir. «Sarebbe inconcepibile» tuona il Municipio sollecitando chiarimenti dal governo. Il quale, fino a questo momento, tace. Immaginarsi tuttavia che Lionel Jospin americanizzi davvero quella che Leon Bloy definì - ma senza riuscire a persuaderne i suoi connazionali - «un tragico lampadario capovolto», appare ipotesi accademica e nulla più. No, la Torre resterà ancorata sulla Senna. Scriveva Roland Barthes: «E' una sfrenata metafora». Come la Francia. Enrico Benedetto
Persone citate: Eiffel, Leon Bloy, Lionel Jospin, Roland Barthes
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