Mele si dimette prima del giudizio del Csm

Mele si dimette prima del giudizio del Csm Giovedì il Consiglio si sarebbe pronunciato sulle sue frequentazioni con il re della sanità pugliese Mele si dimette prima del giudizio del Csm Ha voluto evitare il trasferimento d'ufficio Il procuratore generale presso la corte d'appello di Roma lascia la magistratura dopo una carriera durata 46 anni A Perugia il suo nome è sul registro degli indagati per l'ipotesi di «corruzione in atti giudiziari» indagati con l'ipotesi di corruzione in atti giudiziari. Mele, dunque, lascia e chiude così in maniera un po' ingloriosa una brillante carriera. Componente del Csm nel quadriennio '81-'86 perla corrente di Unicost, Mele diventa consigliere di sezione in Corte di Cassazione prima di approdare nel '92 alla guida della procura della Repubblica di Roma, al posto di Ugo Giudiceandrea. Sotto la sua gestione, scoppiano «Tangentopoli» e lo scandalo dei «fondi neri del Sisde». Mele però, è costretto ha lasciare quella prestigiosa ROMA. Vittorio Mele lascia la poltrona di Procuratore Generale presso la corte d'appello di Roma e, bruciando sul tempo il Consiglio superiore della magistratura che giovedì prossimo avrebbe dovuto pronunciarsi sulle sue frequentazioni «pericolose» con Francesco Cavallari, il re della sanità pugliese già coinvolto in inchieste sulla criminalità organizzata, lascia anche la magistratura. Con una lettera di poche righe inviata a Palazzo dei Marescialli, Mele ha rassegnato le dimissioni dall'ordine giudiziario in virtù di una carriera lunga 46 anni, proprio quando il plenum stava per esprimersi sulla proposta di trasferimento d'ufficio per incompatibilità funzionale avanzata nei confronti dell'ex Pg della prima commissione referente. La decisione di Mele di riporre la toga era nell'aria, ma si è concretizzata soltanto dopo l'ennesimo no della commissione secondo la quale non c'erano gli estremi per accogliere la sua richiesta di essere assegnato alla Coite di Cassazione come presidente di sezione. A quel punto Mele, che compirà 70 anni il prossimo 23 novembre, si era convinto che sarebbe stato trasferito d'ufficio e, per evitare l'onta di una decisione d'autorità, ha preferito giocare d'anticipo. E pensare che fino alla fine l'alto magistrato, «incolpato» per aver accettato viaggi e regali dall'imprenditore barese nel periodo in cui era alla guida della procura della Repubblica di Roma C92-'94), ha tentato di dimostrare la propria innocenza. Ha ammesso di avere ingenuamente partecipato a quei viaggi pagati da Francesco Cavallari alle isole Maldive e a Parigi, ma ha anche ricordato che all'epoca l'ex presidente delle Case di Cura Riunite di Bari era un rispettabilissimo imprenditore, ufficialmente stimato da tutti. Al Consiglio superiore della magistratura, però, si sono fatti l'idea che Mele, quando cercò di sdebitarsi con l'amico ospitandolo con tutta la famiglia nella sua villetta di Ischia o facendo un costoso regalo per le nozze della figlia, abbia compromesso la propria credibilità e danneggiato la propria immagine. L'ex pg ha anche smentito di aver ricevuto soldi da Cavallari per aggiustare alcuni procedimenti penali che lo interessavano. Ha fornito i numeri di conto corrente, ha elencato i titoli sui quali aveva investito, ha presentato la lista dei suoi beni immobili. Della questione, però, il Csm non si è mai occupato, avendo limitato la propria attenzione ai viaggi e ai soggiorni. Il caso è infatti nelle mani della procura di Perugia che a marzo ha iscritto il nome di Mele sul registro degli poltrona dopo un paio di anni. Michele Coirò, uno degli aggiunti, fa ricorso al Tar e poi al Consiglio di Stato perché ritiene di avere più titoli per ambire a quel posto. Il Csm, alla fine, è obbligato a rivedere la propria decisione. Mele, allora, diventa direttore generale degli Affari penali del ministero di Grazia e Giustizia e solo nel giugno del '97 viene nominato pg della corte d'appello di Poma al posto di Gae¬ tano Suriano, morto mesi prima in un incidente stradale. Le dimissioni di Mele non hanno stupito più di tanto alcuni suoi colleghi: «Da tempo aveva perso la serenità - ha rivelato un magistrato della procura generale - ormai non era più in grado di lavorare con tranquillità». A spargere veleno ci ha pensato, invece, l'avvocato Carlo Taormina: «Mele fu il procuratore della Repubblica di Roma sotto il cui controllo, peraltro molto simile ad un colabrodo, si svolsero le inchieste di mani pulite romane, quelle gestite da una teoria di pm e giudici poi finiti in galera, l'ultimo dei quali è stato Antonio Vinci che con Mele ebbe uno stretto e speciale rapporto. Adesso mi auguro che questa volta, al pari di quanto accaduto per la morte di Vinci, non si levi qualche voce starnazzante del Polo per accusare la procura di Perugia e il Csm di persecuzione nei confronti di Mele, finalmente allontanatosi dalla magistratura». Per l'esponente di Forza Italia Tiziana Maiolo, invece, «quello di Vittorio Mele è solo l'ultimo episodio della sistematica epurazione della magistratura non allineata compiuta dal pool di Mani pulite». [g. f. e] Francesco Cavallari «re della sanità pugliese»