La banda dei bocciati in arte di Francesco Grignetti

La banda dei bocciati in arte La banda dei bocciati in arte Come è fallito il furto del secolo UN COLMANDO SROMA ARA' un po' banale spiegarla così, ma quello che doveva essere il furto del secolo alla Galleria nazionale d'arte moderna, portandosi via un Cézanne e due Van Gogh senza colpo ferire, è nato tra un caffè e un chinotto in un bar di Casalotti, borgata alle porte di Roma. Una banda di rapinatori semianalfabeti decide di dedicare le sue attenzioni all'arte: la spiegano così gli investigatori di polizia e carabinieri che ieri non stavano nella pelle per la felicità di questo ritrovamento. Otto gli arrestati, diversi gli indagati, venti le perquisizioni tra Roma e Torino. Il «Giardiniere» di Van Gogh, l'opera più importante, era sotto un letto, incartocciato alla bell'e meglio. E' stato lì per 48 giorni. Da ieri mattina è nello studio privato di Veltroni, forse già oggi tornerà in pubblico. La banda, come tutte le bande, aveva un capo (Eneo Ximenes, naturalizzato belga, di origine sarda) dai modi rudi. Degli uomini di mano (Antonio Sinti, romano; Roberto Petruzzi e Mauro Possetto, pugliesi trapiantati a Torino) che hanno dimestichezza con le armi. Una bella e giovane autista (Annarita Sinti), incensurata, che dormiva materialmente sul quadro rubato. Una basista (Stefania Viglongo, dipendente della Galleria d'arte, viceresponsabile della sorveglianza) che avrebbe dato le indicazioni per arrivare ai quadri eludendo i sistemi d'allarme. Un uomo di collegamento (Claudio Trevisan, marito della basista, elettricista incensurato) che forse è l'ideatore del colpo. E infine un intermediario (Alfonso Di Febio, torinese) che stava cercando di piazzare la merce. «Quindici giorni dopo la rapina, avevamo già individuato la banda e la tenevamo sotto controllo», esordisce il generale dei carabinieri Roberto Con forti, del Nucleo tutela patrimonio artistico. «Date le modalità dei fatti, abbiamo sempre pensato a una banda di rapinatori. Dovevamo trovare il basista», gli fa eco Nicolò D'Angelo, capo della squadra mobile di Roma. C'era da fare presto, prima che le opere spiccassero il volo. Hanno fatto prestissimo. Anche perché i carabinieri sospettavano di Stefania Viglongo già da tempo. L'avevano messa nel mirino dopo alcuni furti. Chissà, forse il fiuto. O qualche indicazione più precisa: il marito aveva «cattive compagnie», ossia era stato identificato mentre si trovava in macchina con un noto delinquente. Informazione apparentemente banale, che era stata però immagazzinata. Ora tornava utile. «Abbiamo lavorato su ma rosa di cinque-sei ipotetic .jasisti», dice uno degli inv tigatori. La pista Viglongo A è rivelata la più promettente. Due settimane dopo la rapina, insomma, il procuratore aggiunto Italo Ormanni ha già in mano una prima informativa con la radiografia di massima della banda. Da quel momento parte un lungo lavoro di intercettazioni e di pedinamenti. Gli investigatori scoprono che buona parte del gruppo ruotava tra Casalotti e Boccea. Scoprono anche che c'è di mezzo un sardo, Eneo Ximenes, che, da come comanda, pare essere lui il capo. Ha un passaporto belga. S'informano con la polizia di Bruxelles e scoprono che è un rapinatore, che è stato condannato per l'omicidio di una guardia giurata, che in carcere aveva legato con altri italiani, rapinatori in trasferta. L'inchiesta approda così a Torino. Anche qui una montagna di intercettazioni e di pedinamenti. Le conversazioni della banda finiscono su nastro: «Hai nascosto bene le auto?». Dove per auto si devono intendere i quadri. «Sì, gli ho tolto la carrozzeria». Dove per carrozzeria si intende la cornice. Precauzioni puerili. Vengono fuori i contatti con gli altri complici. Soprattutto viene fuori che la banda non sa che farsene dei quadri. Contavano su un acquirente - dice il generale Conforti - che però si tira indietro. Forse il prezzo, forse la notorietà delle opere, fatto sta che quello non se la sente di entrare in un gioco troppo grande. E la banda en¬ tra nel pallone. Ancora intercettazioni. Ancora pedinamenti. I torinesi litigano con i romani. Ciascuno si muove come può. Cominciano i viaggi all'estero. Vanno pellegrinando da antiquari e ricettatori. «Venti miliardi e l'affare è fatto». Ma non fanno un passo senza un investigatore italiano alle costole. «E' chiaro che la refurtiva è roba che scotta, - spiega il procuratore aggiunto Ormanni ma alla lunga un compratore l'avrebbero trovato. Era questione di prezzo». ] romani si rendono conto che bisogna scendere mentre il gruppo torinese tira sul prezzo. Finisce che si dividono i quadri: un Van Gogh, l'arlesiana, finisce sulle rive del Po, mentre //. giardiniere di Van Gogh e il Cézanne restano a Roma. Nascosti a casa dell'u- nica incensurata del gruppo, la giovanissima Annarita. La quale Annarita, comunque, secondo le ricostruzioni della magistratura, anche se appena venticinquenne, era fuori dal portone la fatidica notte in cui la banda mise a segno il colpo, aiutò a caricare le opere nel cofano, e portò via i rapinatori. Erano a piedi scalzi, come si ricorderà, per non fare rumore. Con un piano preciso al dettaglio. Ma armati e pronti a tutto, tanto che quando furono scoperti non si persero d'animo: sequestrarono le tre custodi, si fecero disattivare i congegni d'allarme, rubarono le videocassette del circuito interno, legarono le donne e scapparono. «Piano troppo perfetto, qui c'è lo zampino di una talpa», pensarono all'unisono Conforti e D'Angelo. Infatti. Individuata la Viglongo, poi, fu tutto facile. «Come con le ciliegie», dice sornione il carabiniere. Ieri notte le irruzioni. Ben venti perquisizioni in contemporanea tra Roma e Torino. La borgata Casalotti messa in stato d'assedio. A proteggere la casa dove c'erano le tele, gli agenti hanno trovato una porta blindata. Mentre perdevano secondi preziosi per scardinarla, una pistola è volata giù dal terzo piano. Poi hanno aperto agli agenti e si sono arresi. «Era una banda ben strutturata», dicono. Infatti nelle perquisizioni hanno trovato passamontagna, fucili a pompa, pistole, revolver, mitragliette, inneschi per esplosivi. Attrezzi del mestiere di rapinatore. Ma la banda di Casalotti, in difficoltà con l'arte, stava tornando ai vecchi amori. Pensava a un colpo in banca. Sotto gli occhi di polizia e carabinieri. Davvero troppo. Francesco Grignetti L'inutile pellegrinaggio tra collezionisti e ricettatori per cercare di vendere la refurtiva Stavano progettando di rapinare una banca In alto la Galleria d'arte moderna. Sopra Stefania Viglongo. A destra il capo della banda Traditi dalle intercettazioni «Ho tolto la carrozzeria all'auto»

Luoghi citati: Bruxelles, Roma, Torino