Piccola impresa da rifare per poter vincere all'estero di Alfredo Recanatesi

Piccola impresa da rifare per poter vincere all'estero Piccola impresa da rifare per poter vincere all'estero GGI viene presentato a Roma il rapporto dell'Istituto per il commercio con l'estero sull'andamento delle importazioni ed esportazioni nel 1997. I contenuti del rapporto sono stati anticipati dal presidente dell'Istituto, il prof. Onida, il quale ne ha estrapolato indicazioni politiche che confortano le tesi che sull'argomento sono state esposte in questa rubrica nelle settimane passate. Ci riferiamo in particolare: 1. alla perdita da parte del sistema produttivo nazionale di quote del mercato mondiale, specie nei settori dei beni manifatturati a più elevato valore aggiunto; 2. alla circostanza che questa perdita è dovuta al prevalente orientamento del sistema stesso verso una competitività di prezzo piuttosto che verso una competitività basata sulla qualità, sull'innovazione, sui contenuti tecnologici dei prodotti; 3. alla conseguente esigenza di una profonda riconversione dello stesso sistema produttivo per definire ed avviare strategie di lungo periodo quelle necessarie, appunto, per accrescere qualità, innovazione e, quindi, contenuto di valore aggiunto dei prodotti offerti - e, per far questo, si articoli su aziende da dimensione media sensibilmente maggiore di quella attuale. Se, dunque, queste tesi hanno un qualche fondamento, allora occorre riconoscere che di esse vi è scarsa cognizione sia nelle istituzioni politiche, sia nelle organizzazioni di categoria, sia nei centri di analisi economica. Di conseguenza, il rischio è che questo processo venga lasciato a se stesso ed, in attesa di qualche evoluzione spontanea, produca un impoverimento del quale soffrirebbe tutto il Paese. Le istituzioni politiche e le organizzazioni rappresentative delle forze produttive indulgono, per motivi diversi ma comunque facilmente intuibili, alla glorificazione dell'industria minore. I meriti che questa ha acquisito nei decenni passati sono fuori discussione, ma continuare a glorificarla ancor oggi e per il futuro porta a cadere in una contraddizione in termini la cui evidenza non può sfuggire. Se, infatti, un sistema produttivo largamente basato sull'industria minore è stata la risposta più efficiente agli anni del disordine finanziario, della instabilità valutaria, della folle rincorsa tra prezzi e salari, non può continuare ad esserlo con squilibri di finanza pubblica fortemente ridotti, con una politica dei redditi che ha consentito di schiacciare l'inflazione su livelli confrontabili con quelli dei più stabili Paesi europei, con il drastico ridimensionamento del ruolo del cambio I sulla competivitità conseI guente al fatto che la maggior parte delle esportazioni quelle verso la Germania, la Francia, la Spagna e quasi tutto il nord Europa - sarà regolata con la stessa moneta che avrà corso in Italia. Del resto, è intuitivo comprendere che un Paese il quale intenda mantenere nel mondo un posto adeguato allo standard europeo eh reddito pro-capite e di civiltà non può farlo con una struttura produttiva basata su una molteplicità di aziende padronali, poco o nient'affatto strutturate, con una conduzione meramente padronale e molto spesso con un futuro legato all'anagrafe dello stesso padrone. Ed è parimenti intuitivo che se un sistema siffatto non si evolve nel senso che anche il presidente dell'Ice ha chiaramente individuato, con la moneta unica, ossia senza la carica competitiva che può venire da ricorrenti svalutazioni, non c'è alleggerimento fiscale, o flessibilità, o questione di orari di lavoro che possa consentirgli di sopravvivere con successo. «Nei settori tradizionali di consumo - scrive il presidente dell'Ice - non bisogna giocare in difesa delle fasce basse per rapporto prezzo/qualità... Meglio delocalizzare le nostre stesse produzioni di fascia bassa... col vantaggio di fare profitti reinvestibili in innovazione a casa nostra e di avere più facile accesso in quei mercati per le nostre' stesse esportazioni di macchinario, componenti, nonché di, prodotti di fascia medio-alta degli stessi settori, assai adatti a soddisfare una crescente domanda delle classi benestanti dei medesimi Paesi» nei quali le produzioni siano state delocalizzate. Una simile politica di delocalizzazione strategica - strategica perché non si tratta di scappare dall'Italia, ma di trasferire altrove produzioni povere per avviare in Italia produzioni a più alto valore aggiunto e meno esposte alla concorrenza dei Paesi emergenti - non può diventare diffusa e significativa in un sistema basato su piccole imprese, su piccoli imprenditori che molto spesso sono solo padroncini. Ma se non si realizza, e se non se ne avverte o se ne nasconde l'esigenza, in nessun caso avremo il sistema produttivo che possa corrispondere alla dotazione di risorse umane ed alle aspettative di benessere e di sviluppo proprie dell'Italia come gli altri Paesi europei. Alfredo Recanatesi BSÌiJ

Persone citate: Onida

Luoghi citati: Europa, Francia, Germania, Italia, Roma, Spagna