II porto delle falangi inesistenti di Giuseppe Zaccaria

II porto delle falangi inesistenti II porto delle falangi inesistenti «Non cercate masse di profughi a Sfax, ma fermate lo stillicidio» SULLE VIE DELLA FUGA SFAX (Tunisia» DAL NOSTRO INVIATO Il mare è di un blu intenso, la muraglia d'afa che sembra bloccarsi dinanzi alla battigia lo rende ancor più desiderabile. Basterebbe spingere in avanti la manetta di questa barca per allontanarsi dai 48 gradi all'ombra che annientano la costa, attraversare il golfo di Gabèse puntando al largo e poi... Ecco, cosa succederebbe poi, signor capitano? «Succede che se vai sempre dritto in due ore sei a Lampedusa. Se hai il mare contro, due e mezza. Se poi una motovedetta ti costringe a fare il giro largo, al massimo ne impieghi quattro. Scommettiamo?». E' sicuro di quel che dice, il capo peschereccio. Poi si guarda intorno ed aggiunge a voce più alta che naturalmente il suo «Ras Hejri» si fermerebbee ai limiti delle acque territoriali perché non viola le leggi. Se altri lo fanno... Sono tutti qua, gli «altri», e questo non è il porto di Sfax, ma di un sobborgo del quale parleremo fra poco. Nel capoluogo invece, nella più grande città del Sud tunisino, siamo stati poco fa, abbiano contato in tutto cinque navi, una delle quali in demolizione e i doganieri ci hanno accolto più divertiti che sorpresi: «Clandestini che partono da qua? Ma chi ve l'ha detto?». Ecco, dopo un viaggio di ore durante il quale perfino l'autista tunisino continuava a dire «fa un caldo terribile», viene davvero voglia di sapere chi ha mai detto questa cosa e come diavolo l'ha scoperta. La notizia che l'altro ieri in Italia ha seminato allarme dalle coste alla capitale diceva più o meno: «Migliaia di clandestini attendono imbarco a Sfax, sulla costa tunisina. Molti di loro sono curdi». Avrei voluto incontrarne almeno uno - un curdo dico - poiché anzitutto sarebbe stato interessante sapere come mai avesse fatto ad arrivare qua, sconvolgendo tutte le coordinate dell'emigrazione e della geografia. Quando a irregolari di altro genere, invece, la ricerca non è stata difficile ed ha rivelato addirittura una «clandestinità pendolare» di cui non si sarebbe sospettata l'esistenza. Ma non è tanto questo il punto. E' che immaginare una falange di curdi, piuttosto che di tunisini, nigeriani o mongoli pronta a sbarcare in massa sulle nostre spiagge, da Sfax o da un qualsiasi altro porto del Mediterraneo, significa non aver capito nulla. Poiché da qui come dall'Albania o dalla Dalmazia, se parliamo di distanze in mi- glia marittime - non c'è alcun bisogno di organizzare migrazioni. Lo stillicidio è più che sufficiente. E' un fatto storico, e a dimostrarlo basterebbero le fisionomie di gente che parla arabo e non si capisce perché non si esprima in calabrese o siciliano. Da queste coste raggiungere la Sicilia è più facile che prendere un Intercity, e negli ultimi tempi anche più sicuro. Non passa settimana senza che qualche pescatore tunisino denunci il furto della barca o del peschereccio: qualche volta è vero, in qualche altro caso la denuncia serve solo a parare le conseguenze di un'intercettazione italiana o di un incidente. Accorgersi del fenomeno solo quando tre o quattrocento poveracci vengono beccati tutti assieme in Calabria o a Pantelleria è come scoprire l'automobile solo in caso di ingorghi. Questo è invece un passaggio quotidiano (meglio sarebbe dire notturno), continuo, ineliminabile, che parte non da grandi scali ma da centinaia di porticcioli, dalle decine di migliaia di moli che punteggiano il Mediterraneo. Uno di quei luoghi è questo. Si chiama Sakiet Ezzit, è un villaggio a venti chilometri dal capoluogo. Adesso, quando sta per fare sera, i pescherecci alla fonda sono una trentina: partiranno fra breve per la pesca notturna. Pensare che trenta poliziotti li controllino uno a uno per vedere se nelle stive ci sono cinque, sei, dieci clandestini è semplicemente folle. Moltiplicata per i punti d'attracco della sola Tunisia, una simile attività richiederebbe un contingente almeno pari a quello che si pensa di scluerare in Kosovo. Questo Paese, per giunta, non è il Kosovo né l'Albania. Piuttosto come altre nazioni rivierasche ha scoperto quanto l'attività di tra- sporto possa rivelarsi lucrosa. E parlarne distesamente, magari seduti ai tavolini di un bar, può essere più utile degli incontri ufficiali, lascia fluire racconti e vanterie che dipingono la realtà in modo piuttosto esatto. A Sfax, proprio accanto al ponte della Medina dove si affacciano le mura della splendida città antica, il bar «Samba» guarda il porto con l'aria sdrucita di tutti i bar di marinai. Chiacchierate, birre, sigarette poi le confidenze cominciano a scorrere. «Curdi? Ma chi li ha mai visti qui... I soli clandestini che abbiano qualche possibilità di pagare sono quelli che arrivano dall'Algeria. Anche qualche libico, ma quelli non vanno in Italia a cercare lavoro...». C'è uno che si presenta come Ahmed (con la stessa credibilità potrebbe sostenere di chiamarsi Attilio) e racconta di essere andato e venuto già quattro volte. Un altro rappresentante della «clandestinità pendolare». «Ho lavorato a Mazara, sei anni fa, per tre mesi. Poi avevo un po' di soldi e un po' di nostalgia e sono tornato. Mi sono sposato, i soldi non bastavano più allora nel '96 sono andato a Palermo, Capaci, Isola delle Femmine. Ho lavorato sette mesi prima che la polizia mi scoprisse per caso. E' stata la sola volta in cui sono tornato gratis, sul traghetto Palermo-Tunisi col foglio di via...». I successivi due viaggi invece sono stati ancora a pagamento. Un pagamento dilazionato: tanto all'inizio (due o trecentomila lire) e la promessa di sette-ottocentomila ancora al momento del rientro con un po' di soldi in tasca. Pare che funzioni: il tunisino non va in Italia per attraversare l'Europa, ma se può vi si ferma, e appena può torna indietro. Non è stato difficilissimo, alla fine, trovare qualcuno in partenza. Non immaginatevi però famiglie con lattanti, gruppi di persone patite, intere tribù. Si trattava invece di due giovanotti che sulla via Ramada avevano proprio l'aria di chi stava aspettando. Cosa? «Il proprietario della barca che fra due o tre giorni ci porta in Sicilia». E quanti sarete? «Lui ha detto non più di quattro o cinque, la stiva è piccola e piena di arnesi da pesca». Partenza? «Non lo sappiamo, uno dei tanti porticcioli a Nord o a Sud di Sfax». E se non va? «Proveremo da un'altra parte...». Cosa, chi, quale polizia, quale massiccio schieramento di mezzi potrebbe mai fermare questa gente? Giuseppe Zaccaria Trasportati verso l'Italia da barche di pescatori «Al massimo saliremo in cinque» Banchine deserte e trattative segrete per la partenza TUNISIA SUSA PANTELLERIA MALTA GABES LAMPEDUSA Mar Mediterraneo Sopra clandestini nordafricani mentre vengono fermati a Lampedusa e il ministro dell'Interno Giorgio Napolitano

Persone citate: Giorgio Napolitano