«Gucci, così ho incastrato la banda»

«Gucci, così ho incastrato la banda» Carpanese, truffatore giramondo: «Il portiere dell'albergo dove dormivo mi raccontò tutto» «Gucci, così ho incastrato la banda» In aula il superteste, ma a porte chiuse: ha paura MILANO. Eccolo qui, il confidente che con due telefonate ha risolto il caso Gucci. Eccolo qui, questa montagna di carne, barba, contraddizioni e paura: «Perché io non ho i coglioni. Se ho chiamato la polizia è solo per paura. Paura che mi facessero fuori, dopo che Ivano Savioni, il portiere dell'albergo dove dormivo, mi aveva detto tutto». Paura, d'accordo. Ma anche soldi, e va bene pure il programma di protezione per i pentiti. Quello che lui chiede da un anno e passa, anche con una lettera al procuratore capo Francesco Saverio Borrelli: «Eccellenza... ho fatto il mio dovere, adesso intendo abbandonare il Paese». E invece no, alloggiato in una caserma, Gabriele Carpanese arriva in aula puntuale. Chiede e ottiene solo di essere ascoltato a porte chiuse, dentro i giornalisti ma fuori il pubblico: «Sa, non vorrei che la mia faccia venisse fuori. Con quello che ho da raccontare...», dice al giudice Renato Samek Ludo¬ vici. E allora racconta, partendo da lontano: dall'Uruguay dove aveva un ristorante fino ai primi Anni 90, da Miami in Florida dove prima cerca di aprire una caffetteria poi un'agenzia di ballerine e hostess. Fino all'estate del '94, quando senza una lira e con una moglie malata, approda all'hotel Adry di piazza Aspromonte. «Un giorno Savioni mi chiese se conoscevo un killer. Pensai di dire sì, intascare i soldi e andare negli Stati Uniti per curare mia moglie», è l'esordio di Carpanese. Che si commuove, agita il fazzoletto, perde la parola e inizia ad ansimare quando ricorda la moglie. E le sue peripezie di truffatore di mezza tacca: «Intascai 30 milioni su una truffa di mobili antichi. Ma quando Savioni mi offrì di guadagnare portando un chilo di cocaina a Napoli dissi no. Non ho gli attributi...». E nemmeno la perspicacia, se è vero quello che racconta del 27 marzo '95, quando Maurizio Gucci era stato ucciso da poche ore e lui aveva a pranzo Ivano Savioni, il portiere d'albergo che per primo ha mandato in galera: «Quando ho saputo di Gucci gli ho detto: "Adesso che l'hai fatto ammazzare sei a posto. Ti puoi pure scopare la Reggiani". Ma chi immaginava che fosse tutto vero...». Ci metterà mesi, il tempo che Savioni gli racconti tutto, anche i dettagli, perché Gabriele Carpanese capisca tutto dell'omicidio di Maurizio Gucci. Capisca che dietro c'era una ex moglie accecata dall'odio come Patrizia Reggiani Martinelli, la maga Pina Auriemma e l'autista Orazio Cicala. Più sfumato, il racconto e il ricordo di Benedetto Ceratilo, il presunto assassino. «Non ricordo di averlo conosciuto prima...», dice. E dalla gabbia parte l'urlo di Ceratilo: «Condannatemi pure ma questa non è giustizia. Mia moglie da un anno e mezzo non sa neanche come fare la spesa, per colpa di questo bastardo... Fatemi andare, fatemi andare in carcere...». E mentre si infila la giacca, il giudice Renato Samek Ludovici lo espelle. Torna la parola a Carpanese: «Avevo molta paura», dice. E ricorda: «Quando chiamai la Criminalpol, il dottor Ninni mi propose di mettermi le microspie addosso. Ma io non accettai. Per questo inventarono la storia di Carlos, il poliziotto che si fingeva narcotrafficante». Era il 10 gennaio. Venti giorni dopo gli arresti. [f. poi.] Patrizia Reggiani

Luoghi citati: Florida, Miami, Milano, Napoli, Stati Uniti, Uruguay