Sgarella, si sposta la caccia alla prigione

Sgarella, si sposta la caccia alla prigione Chiesto dai familiari il silenzio stampa, il marito: «La palla è nella metà campo dei banditi» Sgarella, si sposta la caccia alla prigione Sarebbe stata venduta a un 'altra banda REGGIO CALABRIA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Cala il silenzio sulle ricerche di Alessandra Sgarella, la giovane donna rapita a Milano nel dicembre dello scorso anno e che polizia e carabinieri stanno cercando in Aspromonte ormai da sei giorni. Invano. Il silenzio l'hanno chiesto i familiari, che si sono rivolti ieri ai mezzi di informazione appellandosi alla loro «sensibilità e responsabilità». Un allentamento dell'attenzione di giornali e televisioni che serva soprattutto ad evitare di esporre la donna ad «ulteriori rischi». Soprattutto in una fase in cui la situazione è considerata «dinamica». Il marito della Sgarella, l'imprenditore Pietro Vavassori, si è fatto scappare di bocca solo che «la palla è nella loro metà campo», lasciando intendere, evidentemente, che i prossimi a fare una mossa dovranno essere proprio i carcerieri di Alessandra. Sei giorni sono trascorsi in fretta, e adesso sulla trepidante attesa che Alessandra Sgarella torni in libertà, cala lo stesso silenzio che lassù, in Aspromonte, accompagna centinaia e centinaia di poliziotti e carabinieri in mimetica che continuano a cercare. A ispezionare ogni anfratto, a rovistare in ogni casupola. Cercano camminando per ore e ore, senza risparmiare energie, da quando, poco meno di una settimana fa, sette persone - nate a Oppido ed in parte residenti al Nord - sono finite in carcere per ordine della procura distrettuale di Milano, con l'accusa di essere stati gli ideatori e gli esecutori del sequestro. Ma i carcerieri? L'ipotesi che il sequestro Sgarella sia stato gestito da principianti perde consistenza, e con essa la speranza che i carcerieri avrebbero liberato Alessandra Sgarella subito dopo il blitz ordinato dai magistrati lombardi. Con il silenzio, insomma, piomba sull'angosciante attesa l'ombra della 'ndrangheta. I sequestri di persona non sono cose che si possono fare tenendo gli ostaggi in Aspromonte completamente al di fuori delle cosche, avevano avvertito nei giorni scorsi i magistrati di punta dell'antimafia. E ieri, lo stesso procuratore nazionale antimafia, Piero Luigi Vigna, si è detto convinto che il rapimento della Sgarella possa essere riconducibile in qualche modo alla 'ndrangheta. Interpellato sul convincimento dei magistrati di Milano che il sequestro Sgarella sia opera di «balordi», non strettamente collegati alla 'ndrangheta, Vigna, che ieri ha partecipato nel Comasco ad un convegno sulla criminalità organizzata, ha risposto che, al di là dei dati investigativi in possesso della procura di Milano, «sembra che il possesso del territorio sia dimostrato dal fatto che nonostante gli arresti, la signora Sgarella non sia stata ancora liberata. Chi gestisce per mesi e mesi un sequestro, come in questo caso, mi sembra - ha concluso Vigna che abbia un retroterra». E che in Aspromonte la 'ndrangheta è pressoché sovrana lo avevano detto anche alcuni tra gli investigatori di punta del panorama calabrese. Il che equivale a dire che se pure il sequestro, nella fase iniziale, potrebbe essere stato fatto da principianti, in un secondo momento l'ostaggio potrebbe essere stato ceduto (cioè venduto) ad un'organizzazione criminale. Che, ipotesi non trascurata dagli investigatori sin dal primo momento, potrebbe avere spostato l'ostaggio anche fuori dalla Calabria. Ipotesi su ipotesi. Che si alimentano dalla delusione delle aspettative più ottimistiche circa una liberazione praticamente immediata di Alessandra Sgarella dopo il blitz contro i Lumbaca e gli Anghelone (i 7 indagati, sei dei quali ancora in prigione, firmatari di un appello cifrato nel quale, pur proclamandosi innocenti, avevano chiesto la liberazione della giovane donna). Rocco Valenti Alessandra Sgarella

Luoghi citati: Calabria, Milano, Reggio Calabria