I Gattopardi della paura di Fulvio Milone

I Gattopardi della paura I Gattopardi della paura Oppido Mamertina: cosche, odio e omertà REPORTAGE UN PAESE EI BOSS OPPIDO MAMERTINA DAL NOSTRO INVIATO E' una palazzina a tre piani con i muri verde scuro, protetta da una cancellata e da una fitta siepe. «Fai attenzione, hai appena visto la casa di un boss. Dall'altro lato c'è il supermercato: tutta roba sua», dice l'accompagnatore che invita a non fermarsi: «Vai avanti, non frenare, fai finta di niente e prendi la prima traversa sulla destra». Qui a Oppido la 'ndrangheta la senti dappertutto. Ti entra dentro, ti avvelena come una nube tossica, semplicemente la respiri e non puoi farci niente. Ma non bisogna credere a chi dice che il paese è tutt'uno con le cosche. La gente odia i boss, se potesse li spazzerebbe via con un sol colpo di scopa. Ma ne è terrorizzata, perché non si sente protetta. Quindi si ribella come può, nel segreto di un confessionale o nei racconti che ti piovono addosso come grandine se prometti l'anonimato ai tuoi interlocutori. Qui non esistono nomi, solo volti sofferenti ed esasperati, segnati dalla violenza e dalla paura. Si è messo al riparo di uno pseudonimo perfino don Luca Asprea (Luce dell'Aspromonte), un vecchio prete-scrittore che in un libro, «Il previtocciolo», narra della sua infanzia nel paese. Scrive che ai suoi tempi, prima della guerra, la 'ndrangheta si considerava una «società onorata» di origine rurale, ossequiente alla «legge base dell'Omertà, cioè l'opposto dell'arroganza e dello spirito di vendetta». Oggi, se tornasse fra queste case abitate ancor prima di essere ultimate, con i muri privi d'intonaco e i terrazzi senza ringhiere, darebbe un altro significato alla parola. «Omertà è il silenzio imposto dalla paura, e gli uomini delle cosche sono terroristi», spiega un impiegato comunale che, incuran- te del sole africano che picchia sull'auto, ci accompagna per le strade impolverate di Oppido Mamertina, 5400 abitanti all'ultimo censimento, sette chiese, nessun cinema e nemmeno l'ombra di un teatro. La provinciale, oltre questa macchia di cemento che spezza la continuità de! verde dei boschi, si inoltra sull'Aspromonte dove poliziotti e carabinieri stanno cercando Alessandra Sgarella. «Qui il mondo si divide in mafiosi vecchi e nuovi che si combattono fra loro e un'altra categoria, quella degli uomini che non sai mai da che parte stanno - dice la nostra guida -. Giuseppe Anghelone, uno degli arrestati per il sequestro, fa parte di questo gruppo. Lo conosco bene, siamo stati a scuola insieme. E' diventato perito agrario, era una persona istruita e aveva ogni possibilità di capire la diffe¬ renza che corre fra il bene e il male. Avrebbe potuto lavorare onestamente, invece si è messo con le cosche. Con le cosche, sì, perché è impensabile che lui e quegli altri pezzenti che hanno ammanettato abbiano potuto rapire una persona senza che la 'ndrangheta sapesse e approvasse». No, qui la gente non si schiera dalla parte degli Anghelone. Ma non si sente nemmeno parte di uno Stato ancora molto lontano, la cui remota esistenza è rappresentata da una piccola caserma dei carabinieri e da un gigantesco, mostruoso cubo di cemento armato circondato da un muro alto una decina di metri. E' un penitenziario che il ministero di Grazia e Giustizia ha fatto costruire dieci anni fa alla periferia di Oppido, ma che non ha mai reso operativo nonostante i miliardi spesi. La gente ci contava, convinta che 1'«economia carceraria» avrebbe portate almeno un po' di benessere al paese. E i parenti dei non pochi abitanti di Oppido finiti in galera speravano in un probabile ritorno dei loro cari. Ma i soldi, così come i detenuti, non sono mai arrivati. Resta solo quel bunker deserto e assediato dall'erbaccia, testimone muto di chissà quali interessi. E di violenze, queste sì tutte ampiamente previste eppure puntualmente compiute. La faida fra le cosche di Oppido è vecchia di anni e ha falciato decine di persone, ma qui nessuno riesce ad assuefarsi al sangue che continua a scorrere per le strade. I nomi delle famiglie in lotta fra loro non sono un mistero per nessuno: da un lato della barricata sono schierati i Gugliotta, i Buonarrigo e i Talarico, dal- l'altro i Mazzagatti, gli Zumbo e i Polimeni. I loro sicari si affrontano periodicamente in strada, colpendo anche i passanti fra cui donne e bambini. E' vero, l'anno scorso si presero la briga di allontanare i testimoni prima di sparare ad un rivale in un bar. Ma due mesi fa, assieme a due uomini del clan Polimeni, Giovanni Polimeni e Vittorio Rustio, sono stati uccisi una bambina di nove anni e suo nonno e ferite altre tre persone, fra cui un bimbo di otto anni e una donna. Il loro unico torto è stato quello di viaggiare in una Croma identica a quella di un esponente della cosca. «I capi delle famiglie non sono andati al funerale dei loro amici uccisi - racconta la nostra guida -. Con la loro assenza hanno voluto inviare un messaggio preciso e tutt'altro che rassicurante ai gruppi rivali: dimostreremo il dolore e l'affetto per i nostri morti prendendoci la vita degli assassini». Oppido sta consumando le sue speranze in attesa del prossimo morto ammazzato, mentre cresce la paura per una violenza che ormai coinvolge tutti. «Qui nessuno può credere di essere immune dai rischi - spiega l'impiegato del Comune -. Vuole un esempio? Tempo fa un mio amico donatore è stato chiamato in ospedale per una trasfusione, ma si è rifiutato di andare appena ha saputo che il ricoverato era un mafioso ferito in un agguato. Se avesse dato il suo sangue, sarebbe stato automaticamente considerato amico dell'uomo già condannato a morte, e avrebbe subito la stessa sorte». Fulvio Milone I «Qui il mondo si divide in mafiosi che si combattono fra loro e in uomini che non si sa mai da che parte stanno» Sopra il frantoio dove si erano incontrati i componenti della banda e a destra le ricerche della rapita

Persone citate: Alessandra Sgarella, Anghelone, Giovanni Polimeni, Giuseppe Anghelone, Gugliotta, Luca Asprea, Polimeni, Talarico

Luoghi citati: Oppido Mamertina